Ho lasciato trascorrere qualche giorno prima di scrivere queste ulteriori considerazioni in merito all'interpretazione dell'ordinanza del Consiglio di Stato sulle Comunità di valle. Si tratta di un'ordinanza con la quale un giudice solleva alcune questioni inerenti la costituzionalità di una normativa. Luigi Olivieri, "L'Adige", 4 agosto 2014
Provvedimenti giurisdizionali di tale specie ne vengono emessi numerosi tutti i giorni dai giudici italiani, dato che sono gli unici soggetti qualificati a sollevare tali questioni non conoscendo, il nostro ordinamento costituzionale, il controllo diffuso di legittimità costituzionale. Preciso ciò fin dal primo momento perché non ho capito né il clamore e neppure quella sorta di «panico» che ha colto alcuni politici e non, innanzi al provvedimento citato. Direi anzi che il medesimo «era nell'aria», essendo alla base, la costituzionalità, di tutti i pareri di cui si era munito il legislatore provinciale prima di approvare la legge.
La formulata osservazione mi induce a trarre una ulteriore considerazione. La verifica di costituzionalità di una normativa è fisiologica e indurrebbe il legislatore che la ha assunta a difenderla. Il sostenere che la si vuol cambiare da parte del legislatore provinciale perché anch'esso nutriva dei dubbi non è condivisibile perché altrimenti non si giustifica la sua quasi decennale vigenza. Consegue perciò che la Provincia di Trento dovrebbe difendere la costituzionalità della normativa a suo tempo varata.
In ciò troverebbe validi argomenti, nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale, nel contenuto della «Carta europea dell'autogoverno locale», trattato ratificato dall'Italia e perciò giuridicamente vincolante, che rafforza sicuramente le previsioni normative contenute nella legge oggetto di giudizio di legittimità costituzionale.
Qualora ciò non avvenisse il legislatore provinciale dovrà considerare che la censura contenuta nell'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale involge il merito e la competenza a legiferare.
Su questo aspetto è necessario una ulteriore riflessione di ordine tecnico. La Corte quando scrutinerà la questione non si limiterà a prendere atto della cessazione della materia del contendere se nel contempo venisse rivisto l'impianto con cui obbligare l'esercizio associato di alcune o di tutte le funzioni con una nuova normativa bensì verificherà anche se il legislatore che ha emanato la novella ne fosse stato competente (tra l'altro la bozza di legge di riforma dell'assessore provinciale Daldoss innova in materia e restringe da 10.000 abitanti a 3.000 abitanti l'ambito per l'esercizio associato di tutte le funzioni comunali, la qual cosa non cambia di molto in ordine all'obbligo che il Comune di vallarsa contesta).
Quest'ultima questione deve far riflettere la politica trentina e in modo particolare le forze politiche che si accingono ad intervenire per modificare l'impianto originario della legge n. 3/2006 e successive modificazioni ed integrazioni. Il richiamo che l'ordinanza del Consiglio di Stato fa all'art. 4 e 65 dello Statuto di autonomia comporta una scelta in merito alla competenza a legiferare dato che il Consiglio di Stato, con il suo ragionamento con il quale è pervenuto alla ordinanza di rinvio, ritiene che la tale competenza spetti al Consiglio regionale. Consegue che se si ritengono fondate le considerazioni (sospetti!) del Consiglio di Stato la novella di riforma della legge provinciale n. 3 /2006 dovrà essere fatta con legge regionale.
Perché il Consiglio di Stato giunge a queste conclusioni? L'iter logico non è esplicitato ma facilmente comprensibile: la disciplina delle funzioni e l'individuazione dei soggetti che devono svolgerle in modo associato tra i Comuni devono essere disciplinate con legge regionale.
Citando le due norme del secondo Statuto di Autonomia, articolo 4, primo comma n. 3 e 65, il Consiglio di Stato nella sua ordinanza dubita della legittimità costituzionale degli art. 57 e 58 del testo unico delle leggi eegionali sull'ordinamento dei Comuni della Regione Trentino Alto Adige (anche se non le cita esplicitamente ma è una conseguenza logica di ragionamento). Con l'art. 57 e 58 si è voluto, da parte del legislatore regionale, delegare o trasferire la disciplina delle funzioni comunali e delle relative forme associate per l'esercizio obbligatorio delle medesime al legislatore provinciale. Così facendo si è violato un principio costituzionale ormai consolidato: una competenza legislativa delegata (dallo Stato alla Regione con legge costituzionale come è lo Statuto di autonomia) non può essere subdelegata ad altro contesto legislativo senza una espressa volontà del delegante.
Per meglio comprendere la Regione non poteva con norma regionale (legge ordinaria) trasferire alle due Province il potere di intervenire in merito all'ordinamento dei Comuni essendo quella una competenza legislativa primaria trasferita dallo Stato alla Regione.
L'ordinanza del Consiglio di Stato è entrata nel cuore del sistema autonomistico imponendo a tutti, in modo particolare a coloro a cui sta a cuore la salvaguardia della specialità, di agire con prudenza affinché da un problema non consegua un giudizio di supponenza che trova il proprio radicamento nel modo di agire di coloro che ritengono di non dover mai rendere conto del proprio operato.
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