Il “caso Battisti”, unito alla questione della bandiera italiana, che sempre secondo lo storico Lorenzo Baratter, consigliere provinciale del Patt, andrebbe abolita dalle celebrazioni della Grande Guerra, ha aperto una polemica su temi che parevano sopiti da decenni. E sui quali Giuseppe Ferrandi, storico e direttore della Fondazione Museo storico del Trentino ha accettato di confrontarsi.G. Ferrandi, "Trentino", 15 luglio 2014
Direttore, tutto è partito dalla sortita di Baratter che dalla sua pagina facebook ha ribadito il proprio su pensiero su Cesare Battisti, traditore e non eroe. Sarebbe bello che tutti coloro che oggi si cimentano a discutere la figura di Battisti andassero a rileggere le pagine scritte alla fine degli anni 60 da Klaus Gatterman, storico e giornalista originario di Sesto Pusteria, in “Ritratto di un alto traditore”. In questo volume Gatterman proponeva agli austriaci una lettura di Battisti in relazione all’elaborazione della socialdemocrazia austriaca e al suo impegno di socialista e autonomista trentino, facendo capire al mondo tedesco il lato drammatico della sua scelta che poi lo ha portato a morire nel 1916. Su Battisti manca tutt’oggi una comprensione minima di ciò che ha rappresentato, senza confonderlo con la mitizzazione strumentale della sua figura apportata dal fascismo. C’è poi la questione delle bandiere... Le bandiere non rappresentano solo stati ed eserciti, ma anche comunità. Mi sembra fuori luogo impedire di esporre il tricolore. Meglio sarebbe invece esporre anche quella austriaca, qualora ci fossero dei rappresentanti dall’Austria alle celebrazioni. Ma è pericoloso che oggi si discuta se aggiungere o togliere simboli, in un momento in cui si vogliono superare certe contrapposizioni. Se gli inni nazionali e le bandiere significano che le comunità a cui si riferiscono questi simboli ricordano cosa è stato il primo conflitto mondiale, mi pare una cosa giusta. Non trova un collegamento tra l’esplosione della polemica e l’esigenza dei trentini di tutelare la propria autonomia in un momento in cui questa viene messa in discussione dallo stato italiano? Siamo su una pentola a pressione, che va disinnescata. Scivoloni e incidenti come questi ci indicano l’urgenza del riconoscere la peculiarità storica del Trentino. Che non è per forza tirolese o italiano: fino al 1914-18 era territorio austriaco, dopo il 1918 è divenuto Italia. Bisogna fare i conti con la complessità della storia, e forse questo dibattito può servire a mettere in luce quanto il Trentino abbia bisogno di ridiscutere la propria identità di territorio di confine. Tanto più oggi, in un contesto nazionale ma anche europeo. Credo che i rappresentanti delle istituzioni, ma anche gli storici e la comunità scientifica, dovrebbero fare una bella riflessione culturale su questi temi. Come si spiega il ritorno di questioni che parevano superate dalla storia stessa? Può anche darsi che interrogarsi sull’appartenenza all’Italia non sia un fenomeno solo trentino, ma ascrivibile ai segni di disagio di tutto il Nord del Paese. La polemica ha spinto all’intervento anche il presidente della Provincia Ugo Rossi, cheappartiene allo stesso partito di Baratter. Le parole Rossi le ho interpretate come un monito a non dividersi, a mantenere un profilo aperto, a non fomentare contrapposizioni. I tirolesi guardano con interesse al Trentino come a un laboratorio. Queste polemiche ci riportano a conflittualità legate a una dimensione nazionalistica. Sembrano nuove oggi, ma sono intimamente vecchie.
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