Trentino, l’Autonomia: ponte tra Italia e Europa

Parto da un presupposto essenziale: chi ha detto che le identità culturali non possano convivere? Ma non solo convivere nello stesso territorio. Intendo anche nello stesso popolo e, soprattutto, in ciascuno di noi. Si può essere trentini, italiani ed europei nello stesso tempo e senza cadere in contraddizione. Anzi è proprio pensando che una di queste identità vada rimossa che si compie un errore ideologico.
Alessandro Olivi, 13 luglio 2014


E per giunta simile a quello che già toccò ai più vivaci intellettuali e alla propaganda nazionalista di cent’anni fa. Alle soglie della prima guerra mondiale si pensò, in certe sfere culturali e politiche, che ciascuna identità si potesse affermare solo a discapito di un’altra. Essere italiani cioè (o trentini) a discapito degli austriaci o di qualsiasi altra entità. Ma son stati poi i piu grandi intellettuali europei, inclusi anche i più patriottici, a capire che invece tutte le identità si costruiscono e si integrano vicendevolmente. Fanno da garanti l’una all’altra con diversi livelli, anime, ma con un solo progetto.

L’Italia è ora anche tutela di autonomia per i trentini che con Battisti e con mille altri modi e persone hanno contribuito all’integrità dell’Italia e all’Europa e alla loro grandezza di queste istituzioni. Quello di rimuovere l’Italia dalle celebrazioni è un falso ideologico dunque. Un modo di continuare il conflitto perpetuando l’attribuzione di responsabilità e di colpe.

Aggiungo inoltre che se c’è una bandiera che ha pieno asilo in questa nostra celebrazione è proprio quella italiana. Come insegnano grandi capolavori del cinema come La Grande Guerra di Monicelli, l’Italia si conobbe e si scoprì Italia proprio nelle trincee. E dico intenzionalmente “nelle” e non “sulle” cioè non per il battagliare ma per il condivider una condizione. Forse ancor più che nel Risorgimento. E fu una conoscenza di solidarietà, di unità e di rispetto reciproco per le tante identità che arricchiscono l’Italia. Si scoprì la condizione delle classi povere italiane e si sognò per loro un futuro migliore. Si intravide, per smarrirla nel Fascismo e ritrovarla nella Resistenza, l’assurdità della guerra e delle gerarchie sorde, e l’importanza invece dell’unità e della solidarietà.

Per questo e altro che non si può spiegare tutto qui bisogna andare con tre bandiere in mano, anche se si hanno solo due mani ciascuno, e completare l’opera vera di quei soldati, quella che abbiamo capito troppo tardi forse, ma che abbiamo capito: portarne tre e prendere anche la quarta dell’Austria e la quinta e la sesta bandiera. E quante saranno sodali con l’Europa. Tutte compongono l’identità e il senso di farla finita con l’assecondare le divisioni, le frammentazioni, le incomprensioni.

Le celebrazioni servono a questo quando non sono retorica. Pertanto non cedo alla polemica, per dare io, nel mio piccolo, il primo esempio.