Intervento in Aula dell'On. Laura Froner sul Decreto Anticrisi (D. L. 78/2009)

"Il decreto legge n.78, adottato dal Consiglio dei Ministri lo scorso primo luglio, è il settimo decreto legge in materia economico-finanziaria e (includendo anche quello in materia di banche) il quarto cosiddetto “anticrisi”.


E’ alquanto singolare che un decreto anticrisi ritenuto dal Governo e dalla maggioranza così importante per affrontare la difficile situazione in cui si trova il nostro paese non venga legato al DPEF e all’assestamento di bilancio che è in discussione in questi stessi giorni. Forse non si voleva evidenziare come il Governo, nonostante sia in corso la crisi peggiore dal Dopoguerra ad oggi, ancora non abbia preso decisioni rilevanti di finanza pubblica, in quanto oltre alla quasi mancanza di misure significative per contrastare la recessione, non ha voluto dare alcuna impronta riformatrice. E in aggiunta a tutto ciò assistiamo ad un peggioramento ulteriore dei conti pubblici, come rilevato anche da Draghi nei giorni scorsi.

Se noi diamo un’occhiata al DPEF e osserviamo lo scostamento dell’indebitamento programmatico rispetto a quello tendenziale - scostamento che ci permette di misurare l’entità della manovra netta messa in atto dal governo e quindi di capire se si stanno risanando i conti (nel cui caso lo scostamento dovrebbe essere positivo) o se si stanno conducendo politiche antirecessive immettendo nuove risorse nell’economia (nel cui caso, invece, lo scostamento dovrebbe essere negativo) - se osserviamo, dicevo, tale scostamento possiamo notare che la manovra prevista per il 2010 lascia tutto uguale rispetto al tendenziale, con uno scostamento uguale a 0. Questo DPEF certifica quindi che non ci sarà alcuna manovra per rilanciare l’economia o per migliorare i conti pubblici nel 2010. Una volta di più questo Governo sceglie di non scegliere. Ma cosa ha fatto effettivamente il governo per contrastare la recessione? Ci risulta che l’Italia è l’unico paese del G20 a non aver varato sin qui alcuna manovra anticiclica. Le misure discrezionali a sostegno dell’economia sono state con saldo zero nel 2008 e sino ad aprile avevano mobilitato a sostegno dell’economia solo circa 3 miliardi. La “manovra d’estate”, secondo il DPEF, non avrà alcun impatto netto sui saldi di finanza pubblica, in quanto alle maggiori spese o minori entrate corrispondono altre misure per maggiori entrate o minori spese. E nonostante la manovra sia a saldo zero i conti vanno male. È questo il vero paradosso della finanza pubblica. I conti vanno male perché in Italia quando il Pil diminuisce le entrate cedono immediatamente il passo, mentre la spesa pubblica segue un’inesorabile tendenza alla crescita, indipendentemente dal ciclo. Nonostante questo sia comunemente noto non vediamo nessuna azione correttiva, nessuno sforzo innovativo per superare una distorsione strutturale non sostenibile in via normale e aggravata dalla crisi. Un Governo responsabile non può solo prendere atto che le cose vanno male. Deve trovare soluzioni e sulla qualità di queste soluzioni non solo le opposizioni ma l’intero paese devono potersi misurare. Un Governo responsabile non si limita a riproporre ricette che tutti sanno essere insufficienti e inidonee per i nodi che dobbiamo sciogliere. Tra il 2008 e il 2009 l’indebitamento nella pubblica amministrazione peggiora di 40 miliardi, dovuti a 30 miliardi di incremento di spese e 10 miliardi di minori entrate. Contabilmente il vero problema della nostra finanza pubblica è dal lato della spesa e da qualunque parte si guardi al problema, la necessità di controllarne la crescita, insieme ad un’intensificazione dei controlli dal lato delle entrate, dovrebbero essere la vera priorità. Il Ministro Brunetta è stato certamente capace di intercettare l’interesse dei mass media e in parte anche del nostro paese. Tuttavia si ha l’impressione che al di là degli annunci ad effetto, pensiamo ad esempio alla riduzione dei giorni di malattia, non seguano modifiche strutturali che ci facciano intravvedere una pubblica amministrazione che si rinnova, che punta all’efficienza e all’efficacia, che sa risparmiare senza perdere di vista la propria funzione e l’attenzione per i cittadini utenti. 
Esigenza a cui si potrà dare risposta solo se si passa da riforme apparenti o incomplete, quali quelle introdotte magari attraverso emendamenti ad un decreto legge, ad un’azione riformatrice coraggiosa, reale e seria, come viene richiesto sempre più frequentemente da tutti i soggetti che hanno a cuore il nostro paese e sulla quale potremmo dare il nostro contributo. Ma torniamo al decreto in discussione. Vorrei evidenziare il nostro imbarazzo nell’affrontare un testo, la cui ultima versione è molto diversa da quella che in origine il Consiglio dei Ministri ha approvato e il Presidente della Repubblica ha autorizzato. Siamo in piena crisi finanziaria ed economica quindi alcuni passaggi normativi avrebbero potuto essere veramente importanti per aiutare cittadini ed imprese a fronteggiare la grave situazione in cui ci dibattiamo da quasi un anno. Ma le misure contenute in questo decreto risultano molto in ritardo oltre che ancora insufficienti. Perché, se questi provvedimenti sono ritenuti così utili anche dalla maggioranza, non sono stati adottati prima, quando i soggetti coinvolti non erano ancora stati fiaccati da 12 mesi di crisi e quindi in grado di rialzarsi con minori difficoltà? E’ probabilmente superfluo ricordare che già a proposito del decreto 185 dell’anno scorso (il primo decreto “anti crisi”) il nostro partito sosteneva che le misure in esso contenute non avevano il respiro e la dimensione strategica necessari per fronteggiare la situazione, in quanto  contenevano una serie di provvedimenti inadeguati alla natura ed alla portata dei problemi che il nostro Paese si trovava ad affrontare. Inoltre, dobbiamo notare come si approfitti ancora una volta dell’occasione del decreto per infilarci scelte non pertinenti se non addirittura distraenti, incoerenti rispetto agli obiettivi dichiarati e che mancano del requisito fondamentale dell’urgenza.  Ci sono questioni spinose che avrebbero necessitato di una discussione più approfondita e di aggiustamenti importanti.  Questioni come lo scudo fiscale, le pensioni, le misure riguardanti le PMI, che non sono state discusse nelle commissioni di merito, costrette ad esprimere un parere su un testo a geometria variabile.  Segno questo che non c’è la capacità o la disponibilità di entrare nel vivo di questioni cruciali, preferendo azioni di depistaggio o semplificazioni che non colgono la vera portata dei problemi. Ne citerò solo alcuni ad esempio.

La regolarizzazione delle badanti e delle colf

Praticamente all’indomani dell’approvazione definitiva del DDL sicurezza e, dunque, a ridosso dell’introduzione nel nostro ordinamento del reato di clandestinità, il Governo sta cercando, in modo decisamente parziale e un po’ confuso, di porre rimedio ai danni e ai moltissimi problemi - già rilevati durante la discussione dal nostro partito e negati dalla maggioranza - che la nuova normativa sta creando alle famiglie e ai lavoratori stranieri coinvolti. Rimedio che appare fin da subito inefficiente. Ci sembra, questa, un’altra occasione persa da parte del Ministro per la semplificazione legislativa, Calderoli, di applicare le proprie deleghe per facilitare la vita degli italiani, e le procedure di regolarizzazione proposte sembrano fatte apposta per complicare la vita delle persone. Si introduce, in modo abbastanza ambiguo, un requisito di reddito che rischia di tagliar fuori moltissimi anziani e persone non autosufficienti e si opera una pesante discriminazione rispetto a tutti gli altri lavoratori che hanno bisogno di essere regolarizzati e che risultano altrettanto importanti negli ambiti del turismo e dell’impresa.

Pensioni

Per le donne che lavorano nel pubblico impiego, a partire dal prossimo 1° gennaio, i requisiti anagrafici per andare in pensione saliranno gradualmente da 60 a 65 anni, equiparandosi a quelli  previsti per gli uomini. E ciò in ottemperanza ad una sentenza della Corte di giustizia europea, cui il Governo risponde con una velocità mai vista in precedenza. Ma non vi sembra che una misura come questa abbia bisogno di un impegno altrettanto celere nel garantire pari opportunità alle donne di accesso al mondo del lavoro, di parità nella retribuzione e nella progressione di carriera.

Ed ancora, invece di introdurre un obbligo che non tiene conto delle singole situazioni non era meglio forse tornare alla flessibilita' della riforma Dini, che prevedeva un ampio spazio temporale, all’interno del quale uomini e donne potevano scegliere volontariamente quando andare in pensione?

Tremonti-ter

Si prevede l’esclusione dall'imposizione sul reddito di impresa del 50% del valore degli investimenti in macchinari e apparecchiature compresi nella divisione 28 della tabella Ateco, fatti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2010. Si tratta di una norma molto attesa ma che ancora una volta rischia di essere inefficace perché troppo stringente nei requisiti riferiti ai beni ammissibili, ai soggetti e alla categoria fiscale, ai requisiti temporali. Sarebbe meglio ridare piena efficacia a strumenti quali quelli introdotti dal Governo Prodi e sostanzialmente vanificati da Tremonti. In particolare sarebbe utile allargare i beni oggetto di beneficio previsti dalle norme sulla detassazione degli utili reinvestiti ad altri tipi di investimenti  compresi gli strumenti per il risparmio  energetico e quelli legati all’innovazione. E lo strumento più efficace da usare è secondo noi quello del credito di imposta. Soluzione che avrebbe anche il vantaggio di essere fruibile già dal 2009 e non dal 2010 come nella proposta di governo. La norma dovrebbe inoltre essere diretta a tutto il lavoro autonomo e non solo al reddito da impresa. Infine, tale misura agevolativa dovrebbe essere incrementata nel Mezzogiorno, per rafforzare il fragile tessuto produttivo del Sud e creare ricchezza e occupazione nelle aree più deboli e maggiormente esposte agli effetti della recessione.

Piccole e medie imprese

Fra gli emendamenti dei relatori che modificano le norme sulla Tremonti-Ter e introducono misure per favorire la patrimonializzazione delle Pmi c'è sì la possibilita' di prevedere agevolazioni per i costi finanziari in favore delle piccole e medie imprese, così come richiesto a gran voce dagli interessati - tra gli altri anche dagli “imprenditori che resistono” incontrati l’altro giorno qui alla Camera. Ma tale misura risulta più una dichiarazione di intenti che un provvedimento concreto, in quanto si rimanda ad una delega al Ministro dell‘Economia, autorizzato a stipulare una convenzione con l'ABI per favorire l'adesione degli istituti di credito a pratiche finalizzate alla attenuazione degli oneri finanziari sulle piccole e medie imprese anche in relazione ai tempi di pagamento degli importi dovuti tenendo conto delle specifiche caratteristiche dei soggetti coinvolti. Vorrei rilevare invece il mancato recepimento di una misura che abbiamo suggerito già l’anno scorso circa la costituzione di un fondo interbancario per aiutare le piccole e medie imprese a superare i problemi legati al credito. Mi riferisco ad un fondo  presso la gestione separata della Cassa Depositi e Prestiti di 4 miliardi per il 2009-2010 destinato alla prestazione di garanzie alle banche su finanziamenti a medio e lungo termine, anche garantiti dai confidi, concessi dalle banche alle PMI, per favorire le operazioni di consolidamento a medio termine dei debiti a breve e la sospensione dei pagamenti per i prestiti già concessi.

Prezzo del Gas

In materia di gas le commissioni Finanze e Bilancio hanno approvato un nostro emendamento, in base al quale i prezzi del gas non dovranno più essere fissati in base ai costi solo dichiarati dall'Eni ma sarà necessaria una verifica dell'Authority che potrà avere accesso ai contratti di approvvigionamento.

Scudo fiscale

Mentre il numero di reati fiscali registra un notevole incremento il Governo promuove un condono gravissimo che aiuta i più grandi evasori, dimostrando di usare due pesi e due misure nel premiare i furbi e prendere in giro chi si è comportato correttamente con il fisco. La norma che consente di rimpatriare i capitali esportati all’estero pagando una aliquota massima del 5% sul capitale risulta piuttosto ambigua e quindi eludibile: chi riuscisse a dimostrare di aver detenuto capitali per un periodo inferiore ai 5 anni potrebbe arrivare a pagare solo l’1% (anche il sottosegretario Vegas lo ha confermato seppure non ufficialmente).  Di dubbi ne restano, e tanti, ad esempio sulle modalità del rimpatrio (quali attività far rientrare e come), se fuori o dentro l'Ue, e sul rapporto tra regolarizzazioni e rientri: tecnicismi tutt'altro che scontati.

Enti locali

Durante il confronto a commissioni riunite si è passati dallo sblocco di 1,5 miliardi, pari al 2,7% dei residui passivi, a 2 miliardi, pari al 4% dei residui passivi, per i pagamenti degli enti locali più virtuosi, ammorbidendo, anche se molto parzialmente, le norme sul patto di stabilità interno per gli enti. Il testo prevede quindi, per le province e i comuni con più di 5.000 abitanti, la possibilità di escludere dal saldo valido ai fini del patto i pagamenti in conto capitale effettuati entro il 31 dicembre 2009 per un importo non superiore al 4% dei residui passivi risultanti dal rendiconto dell'esercizio 2007. Meglio sarebbe arrivare alla disponibilità di 5 miliardi, che potrebbero essere utilmente impiegati per la pronta realizzazione di opere pubbliche, dando lavoro alle nostre imprese in un momento particolarmente critico. Devo rilevare però in senso negativo come un emendamento del relatore aggiuntivo all’art. 9 presenti  aspetti di dubbia costituzionalità, in quanto va a ledere l’autonomia degli enti locali e in particolare delle regioni a Statuto speciale e delle Province autonome.