Il parlamentare trentino protagonista: «Mai come oggi stiamo facendo qualcosa di utile per il Paese». «Era un impegno che avevo preso anche con i miei elettori della Valsugana: in futuro in Senato non devono sedere Tonini, Panizza, Fravezzi e Divina, ma il presidente della Provincia e il sindaco di Trento. E nella nuova rappresentanza parlamentare, dieci deputati per Trentino e Alto Adige sono più che sufficienti». P. Morando, "Trentino", 9 luglio 2014
TRENTO Lui a Palazzo Madama siede ormai da 13 anni. E se la legislatura dovesse giungere alla scadenza naturale del 2018, avrebbe raggiunto e superato i 15 anni di mandato, limite imposto dal Pd ai propri eletti. Ma non è questo che spiega l’iperattivismo di Giorgio Tonini sul fronte della riforma del Senato. Certo, la sua visibilità nazionale di questi giorni è anche conseguenza del ruolo di vice della capogruppo Anna Finocchiaro. Mentre il piglio convinto, nel caos di colleghi di partito più o meno dissidenti, alleati temporanei da cui spesso doversi guardare (più Forza Italia della Lega Nord) e streaming pentastellati, è anche funzione del proprio profilo renziano “doc”. Non cioè da ultimo salito sul carro. Più di tutto, però, c’è che «mai come oggi sento che sto facendo qualcosa di utile per il Paese. E sono confortato anche dai pareri di chi incontro: invece della commiserazione, ora si è passati all’incoraggiamento». Anche perché, nell’era berlusconiana, lo scopo dell’opposizione più che proporre era quello di limitarne i danni. La riforma del Senato, dunque. Elettivo o di secondo livello? Più sindaci o più consiglieri regionali? E le loro immunità? In un’estate torrida per i costituzionalisti, Tonini è diventato uno dei principali protagonisti. Con chiamate all’ordine ai propri colleghi, in vista del voto in aula: di fronte a chi già ha invocato improbabili clausole di coscienza, il senatore trentino ricorda che «lo statuto del Pd dice in primo luogo che la questione di coscienza è individuale e non collettiva e può essere sollevata alla presidenza del gruppo su questioni etiche e principi fondamentali della costituzione. E la modalità di elezione del Senato secondo me non è una questione di coscienza». Difficile dargli torto. Anche perché lui stesso, quando fu relatore di minoranza del ddl sulla fecondazione assistita (e benché cattolico praticante su posizioni in antitesi rispetto a quelle della Chiesa), non vi fece alcun riferimento. «Chi dissente - così ancora Tonini - fa bene a dire la sua e sostenere la sua posizione, ma poi deve attenersi alla disciplina di gruppo una volta che il gruppo si è pronunciato a maggioranza». Esattamente ciò che lui stesso ha sempre fatto in passato da posizioni di minoranza all’interno del Pd: massimo agone nell’affermare le proprie posizioni in fase di dibattito, ma anche massima lealtà alle scelte del partito al momento di votare, una lezione appresa da uno storico leader dei liberal democratici, l’attuale viceministro dell’economia Enrico Morando. Il che spiega anche come, nonostante i contrasti, i rapporti personali di Tonini con i vari Mineo, Chiti, Casson, con l’ala cioè dell’intransigenza, in queste settimane non hanno subito contraccolpi: «Li rispetto, perché hanno convinzioni forti e per queste si battono, come anch’io ho sempre fatto - afferma - ma un partito può reggere il pluralismo più ampio, libero e creativo solo se alla fine riesce comunque a darsi una disciplina». E il ricordo dei 101 che non votarono Prodi per il Quirinale ancora aleggia.
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Partito Democratico del Trentino