Il risultato elettorale di domenica ha attraversato, come una scossa, il dibattito politico a tutti i livelli, offrendo l’occasione per ragionare sui destini dell’Europa, sul futuro del Governo italiano, sullo stato di salute dei partiti in ambito locale. Il Partito Democratico, com’è naturale, è stato l’oggetto privilegiato di queste analisi: sul suo ruolo e compiti si sono concentrate considerazioni e previsioni.Lucia Maestri, "L'Adige", 1 giugno 2014
Vorrei dal canto mio suggerire tre aspetti – quasi tre responsabilità – alle quali il nostro partito è ora chiamato.
La prima riguarda il ruolo di perno che il Partito Democratico deve avere nelle coalizioni di governo. E uso il plurale non a caso, perché in un gesto solo attorno al Partito Democratico si sono raccolte le istanze di chi confida nella sua opera riformatrice della politica europea; di chi spera nella prosecuzione di quel “cambia verso” che il Governo Renzi sta imprimendo all’Italia; di chi conta, a livello locale, su un Partito Democratico forte, capace proprio per questa sua triplice presenza, europea, nazionale e territoriale, di rappresentare ed interpretare le specificità dell’Autonomia non come arroccamento difensivo e spaventato, ma come slancio.
A noi, al Partito Democratico del Trentino, spetta il compito di guardare avanti, accettando e governando le sfide al cambiamento che i tempi nuovi ci consegnano. Declinando quelle sfide attraverso le opportunità di innovazione e di sperimentazione che l’Autonomia speciale ci mette a disposizione, e ricordando sempre che quell’Autonomia non è, come troppo spesso si pensa, un attributo della Provincia intesa come istituzione, ma è condizione che appartiene ai cittadini e alle cittadine del Trentino.
È quindi a loro che dobbiamo guardare. Alla loro – che poi è la nostra – speranza di futuro. A quelle attese e a quelle aspettative che sono anni luce lontane dall’attenzione che talvolta dedichiamo alle modeste alchimie interne o alle ansie di posizionamento di qualcuno.
Dobbiamo concentrarci sulle proposte e sulle risposte reali ai bisogni delle persone: la qualità dell’istruzione, le politiche per salute, le opportunità che il binomio turismo e cultura ci mette a disposizione, le tante occasioni di sviluppo e di competitività che una più strutturata relazione tra università, impresa, istituti di ricerca può garantire.
Solo così, il Partito Democratico del Trentino può dare risposta a chi gli chiede di mantenere un ruolo di primo piano nella coalizione di centrosinistra autonomista. Ruolo, che pur non esercitato dalla posizione apicale della Giunta provinciale, ci deve vedere capaci di riforme forti.
Non so se il Pd del Trentino debba essere più “renziano”. Né so cosa intendesse dire il Presidente Rossi così auspicando. So però che non è data riforma senza coinvolgimento e condivisione e che il “fattore tempo”, così importante ai giorni nostri, non può di per sé legittimare l’azione di un uomo solo al comando. Cosa che, per altro, Renzi non è. Interpretando, con il suo agire, pur tra mille mediazioni interne, il sentire di un partito che dell’innovazione è padre e figlio.
La seconda riflessione che il voto consegna sta dentro la lettura e l’evoluzione del progetto politico del Trentino. L’ormai famosa “anomalia” trentina che ha visto una coalizione di centro sinistra autonomista governare per un quindicennio dentro un nord est dipinto di azzurro, deve fare i conti con il suo abito orami divenuto, forse, troppo stretto. Perché stretta sta la sommatoria di appartenenze e di sigle se avulsa dall’interpretazione di ciò che accade. E ciò che accade parla di un Trentino autonomo ma con voglia di confronto e di mondo. Di un Trentino che ha molto da dare e da dire al di fuori dei suoi confini. Di un Trentino che sa, che di sola Autonomia si può anche morire, se questa non rimane strumento di ottimo governo e ponte di relazioni transfrontaliere ed europee.
Il voto chiede alle forze riformiste della coalizione di guardare avanti. Forti del proprio bagaglio di storie con la “esse” maiuscola, sensibilità ed esperienze. Di sperimentare, inventare, forme nuove del fare politica e dell’occuparsi della cosa pubblica. Il PD, da sempre aperto alla sperimentazione, è, può, e deve essere punto di rifermento per quei partiti – come l’UPT – che forti di una propria identità, ricercano un nuovo racconto, una nuova dimensione che sia territoriale, nazionale, europea. Dico punto di riferimento, non “casa”. Perché una “casa” la si costruisce insieme ed è tale se nessuno, dico nessuno, si sente ospite. Il Pd ha dunque una funzione importante e delicata: quella di irrobustire il cammino di una coalizione intesa come spazio comune e non sommatoria di sigle, partiti, percentuali. La funzione, a ben vedere, da sempre esercitata per anni in Provincia e nei tanti comuni. Disponibili e pronti al lavoro di squadra, sordi a certe supponenze, liberi da certe subalternità.
Il voto, infine, chiede al Partito democratico di riconoscere che il nostro è un progetto in costante divenire. Nato da storie diverse, aperto a storie diverse. Rispettarle ed intrecciarle è il nostro compito. Scriverne una nuova il nostro obiettivo.
Domenica, più di undici milioni di italiani ci hanno chiesto di proseguire su questa strada. È un gettone di fiducia per nulla scontato e che non dobbiamo sprecare o giocare con leggerezza.
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