È davvero a rischio la conferma del sindaco Alessandro Andreatta? Vanni Scalfi, che del Pd oltre che consigliere comunale è coordinatore cittadino uscente, non si sottrae all’imbarazzante domanda. E non ha paura di elencare le criticità emerse in questa consiliatura. «Ma personalizzare il tema - afferma - è un passo che, nonostante le sollecitazioni anche di alleati, non faremo. Partire dai nomi è il solito errore della politica trentina».P. Morando, "Trentino", 30 maggio 2014
Sarebbe un bis di quanto avvenne con Pacher in Provincia: un logoramento che portò al suo passo indietro. Non vedo questo rischio: tra le molte qualità del sindaco ci sono la tenacia e la motivazione. Senza dimenticare che Andreatta è stato il primo sindaco che ha dovuto amministrare con preoccupazioni di bilancio, serve un bilancio lucido di che cosa ha funzionato o meno nel rapporto tra giunta, gruppo e alleati. E ragionare su quale città immaginiamo per i prossimi anni.
Detta così, sembra un programma di commissariamento anticipato. Non è così. Ma servirà più lavoro di squadra nella giunta, tra questa e i gruppi consiliari e, per noi del Pd, tra amministratori e partito. Abbiamo tutti margini di miglioramento.
Tra Andreatta e il Pd c’è stato uno scollamento? Si può fare di meglio. Non in termini di circolazione delle informazioni, ma nel costruire processi decisionali. I cittadini hanno l’intelligenza e la maturità per essere ascoltati e coinvolti nelle decisioni. A maggior ragione in un quadro come il nostro, segnato da una sostanziale inesistenza dell’opposizione di centrodestra.
Non attribuirà alle debolezze altrui l’autodistruttiva vis dialettica del Pd? Rispondo citando Aldo Moro: la mancanza di una reale alternativa di obbliga ad essere alternativi a noi stessi. Detta in altro modo, dobbiamo essere esigenti con noi stessi perché forme esterne di controllo e pressione non ci sono.
Qualche tema su cui giunta, maggioranza e Pd potevano lavorare meglio? L’urbanistica, su cui non abbiamo compiuto le grandi scelte che servivano: il punto di domanda Italcementi, il rallentamento dello spostamento della Scuola d’arte al S. Chiara, il polo scolastico in via Brigata Acqui, la biblioteca d’ateneo. A meno di miracoli negli ultimi dieci mesi, non porteremo a casa neppure una riforma del decentramento e delle circoscrizioni degna di questa nome. Abbiamo assistito a una crescita della città turistica e universitaria non sempre valorizzandole.
E poi il tema della sicurezza. Ne ha parlato col sindaco? Io e il sindaco parliamo con regolarità da anni, con toni più che amichevoli.
Andreatta potrebbe replicare: ma che volete, sono il sindaco più apprezzato d’Italia. Il bilancio di questa amministrazione è ampiamente positivo, nessuno lo mette in discussione. E Andreatta è persona straordinariamente tenace, un gran lavoratore, intelligente e popolare: sa stare in mezzo alle persone e parlarci.
Allora che cosa gli manca? Vorrei che lo avessimo tutti di più: maggior coraggio nel dire che cosa pensiamo e nel pensare soluzioni nuove per interpretare i cambiamenti della città.
Ad esempio? Andreatta ha sempre parlato di Trento come città di relazioni: lettura alta e condivisibile. Ma in tempi come questi serve una città più attenta a favorire sviluppo e creare posti lavoro, recuperando aree dismesse e riutilizzando capannoni abbandonati: temi su cui dobbiamo imporci un maggiore dinamismo.
Vede alternative al sindaco Andreatta? Mi rifiuto di partire dai nomi, l’ho già detto.
E gli alleati, hanno in mente qualcuno? Spero che pensino al bene della città e non alle percentuali elettorali. Comunque sia, quando si tratterà di discutere il programma, dovranno accettare l’idea di un’alleanza non più a otto, ma più ristretta e coesa.
Con Andreatta andreste sul sicuro. A meno che qualcuno nel Pd non sollevi la questione del limite dei mandati. Io vorrei non accontentarmi di andare sul sicuro: vorrei invece una scelta convinta.
Attraverso primarie, come cinque anni fa? Benché Andreatta fosse il candidato naturale, allora si decise di passare per le primarie come ulteriore legittimazione. E servì. Ma se il Pd deciderà che il proprio candidato sarà ancora lui, dovrà esserlo dell’intera coalizione. E senza primarie.
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