Io sono pronto, cambiando il Pd

Mercoledì scorso Franco de Battaglia, nella sua sempre interessante rubrica «Sentieri» sull'Adige, scriveva che il Pd trentino dovrebbe smetterla «di pensare a sindaci e assessori», uscire «dall'autoreferenzialità chiusa di gruppi e comitati, per costruire invece un partito affidabile e coerente, che non creda di risolvere le sue carenze propositive solo a colpi di primarie».
Alessandro Andreatta, "L'Adige", 30 maggio 2014 

De Battaglia ha riassunto, forse senza accorgersi, un programma di lavoro che per il Partito democratico trentino è urgente e indifferibile. E che deve essere messo all'ordine del giorno ora, approfittando della serenità e dell'energia portate dal successo delle elezioni europee. Perché è vero quanto scrive de Battaglia: il voto del 25 maggio è stato il trionfo non tanto e non solo del Pd «che c'è», ma del Pd che «si vorrebbe». Un Pd che pensa, che condivide, che progetta, che sa essere punto di riferimento non solo per il proprio elettorato ma per tutta la coalizione. Un Pd che sa unire la concretezza alla speranza, l'azione quotidiana ai grandi disegni, il radicamento territoriale alla prospettiva nazionale ed europea.

Alla luce di queste considerazioni, credo che il tema di oggi - a un anno dalle elezioni amministrative - non possa essere solo quello dei candidati sindaci del 2015, come se in ballo non ci fosse il governo delle città del Trentino, ma un gioco da disputare in pochi, per decidere quali pedine collocare e dove. Per quanto mi riguarda, non sono in preda alla sindrome della rielezione, non riempio le mie giornate con il risiko delle candidature possibili. Il mio orizzonte è fermo sulla città, sui progetti da portare a termine, sugli incontri quotidiani con i cittadini, sui problemi da affrontare qui ed ora. Devo dire che ho interpretato in questo senso anche i rilievi che mi sono stati mossi in questi giorni da alcune forze politiche di maggioranza: li ho letti come stimoli e indicazioni per il presente, più che come minacce per il futuro.

Del resto, la lezione arrivata da Renzi al nostro Pd locale è proprio questa. Occorre coltivare grandi ambizioni di riforma (lavoro, pubblica amministrazione...) ma bisogna anche disseminare il terreno dell'azione quotidiana con interventi concreti (il bonus fiscale in busta paga, le Province di fatto ormai abolite). E sono necessari anche dei segni, delle azioni significative: come il tetto allo stipendio dei manager, un provvedimento di equità che i cittadini non possono non apprezzare. O ancora l'utilizzo di un aereo di Stato per riportare i bambini del Congo alle rispettive famiglie: è un'iniziativa doverosa, sottolineata da molti per il semplice fatto che fino a poco tempo fa gli aerei di Stato venivano spesso usati per fini tutt'altro che istituzionali.

Ma torniamo al locale. Io credo che noi tutti - dirigenti, eletti ed elettori del Pd - dovremmo utilizzare il carburante della vittoria europea per rinnovare i programmi, per moltiplicare le occasioni di incontro, per coinvolgere nella politica attiva nuove persone, in modo da non dare mai l'impressione che il partito sia un circolo chiuso. Credo anche che occorra dare dei segni inequivocabili ai cittadini: sui vitalizi dei consiglieri provinciali, per esempio, visto che la questione è all'ordine del giorno, il Pd dovrebbe prendere l'iniziativa della proposta, evitando ogni tipo di prudenza e furbizia. E anche sui temi sociali, sulla sanità, sul lavoro, sul rapporto tra Comuni e Provincia, il Pd può e deve esercitare una leadership di pensiero, che non può che facilitare e rendere più chiari i rapporti con i nostri preziosi alleati.

Ho apprezzato qualche giorno fa una dichiarazione del neo governatore del Piemonte: «Non si può pensare - diceva Chiamparino - che il quaranta per cento sia un voto di appartenenza: in quel dato c'è una metà di elettorato che voterebbe Pd anche sotto tortura e un'altra metà che vota Pd perché in questo momento è convinto dal lavoro di cambiamento che sta facendo Renzi anche con il suo governo, non solo con il partito. Adesso, però, il Pd deve diventare un partito davvero aperto e le varie anime al suo interno devono diventare delle articolazioni democratiche di pensiero e non articolazioni burocratiche di potere».

Io sono disponibile a dare il mio contributo a questo progetto indifferibile di ri-costruzione del partito, senza calcoli sul mio futuro. In un simile momento, non è questo il problema più importante.