Renzi e il voto europeo

Il testo dell'intervento della Segretaria Giulia Robol in Assemblea Provinciale (26/05/2014).
Care democratiche, cari democratici,
siamo di fronte ad un risultato di importanza storica sia sul piano nazionale ma anche per quel che riguarda il nostro livello territoriale, e su questo tornerò dopo. Questa campagna elettorale, lo sapevamo, lo abbiamo continuamente ripetuto, aveva un’importanza particolare, non solo perché era investita del compito di parlare di Europa in un contesto dove l’euroscettiscismo appariva predominante - e così purtroppo appare confermato - ma anche e soprattutto perché rappresentava, anche se in maniera ovviamente implicita, un test per l’attuale governo Renzi.

La campagna elettorale è stata condotta da Grillo, anche a livello verbale, oltre ogni limite di aggressività, con rivendicazioni storiche che hanno dell’incredibile per chi solo si ferma a riflettere, benché sappiamo quanto il leader dei 5S sia abituato a sparare all’impazzata e come la riflessione meditata non paia essere mai una forma di espressione da lui abitualmente utilizzata.

Sono stati tre mesi di un governo costretto a scelte difficili, che si è posto però tenacemente l’obiettivo del rinnovamento, del cambiamento reale, delle riforme che da sempre aspettiamo, in una cornice anche di pragmatismo e concretezza alla quale gli italiani non sono più abituati, ricorrendo a linguaggi nuovi, con una comunicazione più immediata, più semplificata ma forse più efficace nell’intercettare l’interesse dei cittadini e la voglia di sperare ancora. Matteo Renzi doveva incassare il consenso degli italiani in questa competizione, ma la posta in gioco non era solo l’Europa e un’Italia determinante alla vigilia del semestre europeo; Matteo Renzi doveva dimostrare che il processo di riforme intrapreso era ancora possibile, ma per fare questo il suo Partito, il Partito Democratico, doveva conquistarsi la fiducia degli elettori.

Obiettivo centrato, si potrebbe dire, al di sopra di ogni più rosea aspettativa, oltre i sondaggi più ottimisti, nonostante la percezione sfavorevole di una campagna poco frequentata, poco sentita nei suoi contenuti e nelle sue importanti sfide.

Matteo Renzi ha convinto, ha travolto gli avversari si potrebbe dire, ha portato il nostro Partito, che vola oltre il 40% dei consensi, ad un’affermazione che fino ad ora il Partito Democratico non era mai riuscito ad ottenere, assicurando inoltre anche un buon livello di partecipazione, il 58% circa di affluenza. Matteo Renzi ha convinto, si diceva, lasciando all’angolo l’altro protagonista, Beppe Grillo, con la sua incredibile voglia di rivalsa, la sua violenza verbale, la meschinità di un messaggio che più che di contenuto politico si avvale sistematicamente della calunnia personale. Ma gli italiani hanno dimostrato di non essere interessati a questo, riconoscendo in Renzi la vera scommessa per l’Italia e per la sua reale voglia di cambiamento. E con questo sentimento, con ancora più motivazione di sempre, il governo dovrà procedere nella sua azione quotidiana, con l’obiettivo importantissimo di cambiare il Paese.

Assistiamo in questo momento ad una concomitanza di elementi strategicamente molto favorevoli per la crescita del Partito Democratico e delle politiche di centrosinistra. Con una destra divisa e un leader stanco e menomato dalle sue vicende giudiziarie, abbiamo la possibilità di far diventare il nostro Partito il principale riferimento politico degli italiani. Ma per fare questo abbiamo bisogno di credere nella spinta riformatrice del nostro Paese e in una leadership forte come quella renziana, che con modelli comunicativi nuovi e più immediati ha dimostrato di intercettare l’interesse degli italiani. Si tratta di una sfida che va colta e fatta nostra in maniera attiva e costruttiva, un’aspirazione al protagonismo che dobbiamo trasmettere con lo stesso entusiasmo nel nostro territorio.

La presa di posizione del Sen. Fravezzi e non solo, nei giorni scorsi, a favore del Partito Democratico e dell’azione di governo mi fa credere che questo possa essere potenzialmente un ragionamento condiviso e che il nostro modo di interpretare la territorialità non sia così estraneo ai trentini stessi, che forse al di là delle formule politiche non ben identificate chiedono bontà delle proposte e chiarezza delle scelte nel rispetto e a servizio del  nostro territorio. Il Partito Democratico del Trentino esce rafforzato da questo risultato, anche nella sua dimensione di coalizione e di governo della Provincia. Il rispetto e la condivisione delle politiche di governo devono partire da reali momenti di confronto tra le forze politiche, dove il Partito Democratico del Trentino, che rappresenta la forza politica più importante della coalizione, rivendica la sua azione propositiva e riformatrice rispetto ad una visione di sviluppo del nostro territorio.

Dobbiamo avere il coraggio di trasmettere agli alleati un modus operandi che non si avvalga solo del principio muscolare della forza dei numeri, che per altro adesso parrebbe diventato a nostro favore rispetto al momento delle primarie di luglio: le scelte non possono avvenire sulla base di imposizioni una tantum, ma attraverso la condivisione di politiche di strategia che individuino punti fermi, che poi sono mantenuti come tali.

Dobbiamo recuperare quel protagonismo che ci permetta di lavorare su un’agenda di priorità che vada oltre il tema dei vitalizi, la cui legge spero approdi presto in aula, e il tema pur delicato e fondamentale della riforma istituzionale, di cui ci occuperemo in seguito. Dobbiamo lavorare su quei temi che consideriamo importantissimi per il momento contingente e non solo, e uno di questi è certamente il lavoro.

Il dibattito intorno al partito territoriale, come già dichiarato, ha dimostrato tutta la sua fragilità e i fatti recenti hanno fatto comprendere in maniera ancora più lampante che non è ricorrendo a sigle o a strane alchimie politiche che i partiti fanno sì che l’elettorato ti segua, quanto piuttosto dimostrando capacità di visione nella proposta politica, interpretando una reale esigenza di cambiamento, intervenendo fattivamente nella situazione attuale di disagio: su questo sì l’elettorato è disposto a scommettere accordandoti la sua fiducia.

Le elezioni europee nel loro complesso non hanno visto purtroppo l’affermazione del Partito Socialista Europeo; certo è che il grande successo del Partito democratico in Italia consegna al Parlamento europeo una rappresentanza più allargata e maggiormente rafforzata, dove l’Italia potrà avere un ruolo molto più determinante e un’incredibile opportunità per portare una visione ‘altra’ rispetto all’attuale, in considerazione del fatto che il Partito Popolare europeo ha sì vinto - seppure in modo ridimensionato - ma certamente dovrà dialogare con il PSE, considerata anche l’affermazione diffusa degli euroscettici, che insieme raggiungeranno un numero interessante di parlamentari.

Queste forze politiche non sono d’accordo su ogni singolo dettaglio, ma condividono l’idea che “l’Europa ora debba essere più forte”, come scrive in una nota il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso.

Certo la vittoria schiacciante di Le Pen impressiona, visto che noi ricordiamo la Francia tra le nazioni che hanno dato patria al pensiero europeo, e questo dà la portata del clima che accompagna il processo stentato di costruzione di una casa comune europea, rispetto alla quale le tensioni nazionaliste certamente non vengono meno.

Il partito di Le Pen è quindi primo partito in una consultazione nazionale e ha poco meno del doppio dei voti del Partito socialista al governo. ”Il popolo sovrano ha parlato in modo forte e chiaro, come in tutti i grandi momenti della storia. Il popolo sovrano ha scelto di riprendere in mano il proprio destino”, ha detto Le Pen, che ha lanciato un appello solenne al presidente Francois Hollande affinché proceda allo scioglimento dell’Assemblea nazionale dopo lo storico risultato. 

Ma non è solo la Francia il problema: si pensi all’esito del voto britannico dove il partito euroscettico ha raggiunto la percentuale del 31,9% dei voti, contro il 24,2% dei Tories del premier David Cameron ed il 22,9% dell’opposizione laburista.

Questo clima certamente preoccupa, ma io credo che un rapporto politico costruttivo tra coloro che condividono l’idea di Europa debba essere portato avanti tenacemente per far fronte alle sfide politiche del futuro di un contesto sempre più globalizzato.