Il Pd vola oltre il 42%. ROBOL: ora nuovi equilibri

La Segretaria: «È un risultato storico. Renzi ha conquistato il consenso necessario a proseguire la sua azione riformatrice mentre a livello locale il partito si è ricompattato, dopo tutte le vicissitudini interne, intorno ad Andrea Pradi, che ha saputo portare nella campagna elettorale i temi europei. Sapevamo dall'inizio che era un candidato di bandiera, ma ha ottenuto nella nostra provincia più consensi della capolista Alessandra Moretti». 
C. Bert, "Trentino", 27 maggio 2014

Pd primo partito in Regione, davanti alla Svp. Al 42,35% in Trentino, 93 mila voti, 30 mila in più del 2009 (+15%), 40 mila più delle provinciali di ottobre. La Svp, il cui candidato Herbert Dorfmann era sostenuto da Patt e Upt, ferma al 12%.Nella sede del partito, la segretaria dem Giulia Robol sfodera il suo miglior sorriso e di fronte al risultato delle Europee si affida al termine «felicità», decisamente desueto in politica, per definire il suo stato d’animo: «È un risultato andato oltre ogni aspettativa, che ci riempie di soddisfazione ma che ci carica di una grande responsabilità nel parlamento europeo, dove aumenta il peso degli euroscettici, e a Roma, dove questo voto dà al governo Renzi una grande forza per portare avanti le riforme».
Poi Robol passa al contesto locale: «Il Pd ha avuto le sue vicissitudini con le primarie perse per la presidenza della Provincia, ma ha ritrovato la sua compattezza e oggi il risultato rafforza il nostro protagonismo nella coalizione». Cambieranno gli equilibri nella maggioranza di Ugo Rossi? «L’equilibrio deve cambiare, non è solo una questione di numeri, ma dello spirito riformatore che il Pd è riuscito a intercettare. E io penso che la situazione più urgente dove dovremo far sentire la nostra proposta è quella del lavoro».
Concetto rafforzato anche dal vicepresidente della giunta Alessandro Olivi: «Il centrosinistra autonomista oggi esiste e ha futuro solo se si riconosce che il Pd è la spina dorsale che tiene in piedi questa possibile nuova dimensione meno localistica. Il voto dice che senza un Pd che garantisce lo sguardo in Europa e senza l'idea di un'autonomia dinamica che non si chiude nella liturgia dei riti della difesa dell'esistente non c'è futuro. Dobbiamo sapere imprimere alle politiche di questa giunta un'accelerazione sotto il profilo delle riforme». «Gli elettori danno un messaggio chiaro di un bisogno di una forza coesiva che federi intorno a sè i partiti territoriali. Un partito che diventi la casa di riferimento non solo della tradizionale sinistra, ma anche di molti moderati».
Anche perché, sottolinea il capogruppo provinciale Alessio Manica, «anche nelle valli il Pd raggiunge percentuali vicine al 40%». Il messaggio agli alleati di Upt e Patt che hanno sostenuto il candidato Svp Dorfmann, è chiaro. «La diatriba sul partito territoriale è una perdita di tempo», la liquida Giulia Robol, «non è sulle alchimie che ci dobbiamo interrogare, esprimere una classe dirigente capace. Il Pd non è una cornice utile solo quando ci sono le politiche, noi siamo territoriali più degli altri e abbiamo intercettato la volontà di cambiamento, conquistando voti anche di molti elettori dell’Upt e del Patt. A me spiace che, al di là della candidatura generosa di Andrea Pradi, non si sia mai ragionato su un candidato unitario che abbia chance di essere eletto».
Il deputato Michele Nicoletti sferza gli alleati: «Va detto che c’è una parte di coalizione che non ha dato questa disponibilità», dice ricordando il mancato appoggio Upt alla sua candidatura alle Europee nel 2009. «Dorfmann è eletto con due terzi di voti del Pd, che, come avvenuto alle politiche, è disposto a sacrificare l’appartenenza politica stretta in nome del riconoscimento delle minoranze. Constatiamo che dall’altra parte questa disponibilità non c’è». Quando al candidato del Pd Andrea Pradi, che domenica ha raccolto 24.541 preferenze, rivendica di aver fatto «una bella campagna elettorale, in cui abbiamo parlato di Europa» e sollecita a non dimenticare che «gli astenuti sono il primo partito, e il Pd ha la responsabilità di dar voce a chi oggi non si sente rappresentato nelle istituzioni». In conferenza stampa c’è spazio anche per una domanda sulle elezioni comunali del 2015, in particolare a Trento dove i Democratici domenica hanno sfiorato il 50%.
Il sindaco Alessandro Andreatta sarà ricandidato per un secondo mandato? «Non faccio nomi, non è questo il momento», risponde la segretaria, «le comunali hanno logiche molto diverse dalle politiche e dalle europee, la scelta del candidato sindaco sarà fatta come coalizione, e il protagonismo del Pd, visto il risultato eclatante in città, sarà scontato»



Vittoria schiacciante, ma niente seggio, "L'Adige", 27 maggio 2014

Vanni Scalfi, terzo arrivato nella corsa alla segreteria provinciale, riassume il sentimento dominante così: «Devo riuscire a togliermi questo sorrisino dalla faccia». Ma i sorrisi si sprecano, nella sede del Pd, di fronte al 42,35% e a 93.038 consensi, guadagnati nonostante il forte astensionismo, che regalano al Partito democratico una forza mai avuta, «insieme alla grandissima responsabilità di capitalizzare questo risultato», dice il capogruppo provinciale Alessio Manica.

Sì, perché nulla è per sempre. Lo dimostra la storia: da un bel 27,84% alle europee 2009 (63.498 voti) si era scivolati al 23,72% alle politiche 2013 (salendo in termini assoluti a 72.852 voti) e al 22,07% alle provinciali dell'autunno scorso (52.406 voti); primi sì, ma penalizzati dalla sconfitta di Alessandro Olivi alle primarie di coalizione. 

Il 42,35% era inimmaginabile, confessa la segretaria Giulia Robol che, pur da antagonista al congresso della renziana Elisa Filippi, tesse le lodi dell'azione del premier, senza se e senza ma: «È un risultato storico. Renzi ha conquistato il consenso necessario a proseguire la sua azione riformatrice mentre a livello locale il partito si è ricompattato, dopo tutte le vicissitudini interne, intorno ad Andrea Pradi, che ha saputo portare nella campagna elettorale i temi europei. Sapevamo dall'inizio che era un candidato di bandiera, ma ha ottenuto nella nostra provincia più consensi della capolista Alessandra Moretti». 

Una soddisfazione che però non cancella il rammarico per non aver saputo o potuto esprimere una candidatura in grado di conquistare un seggio europeo. Un dispiacere doppio, visto il risultato stratosferico ottenuto dal Pd provinciale: «Un ragionamento di coalizione sul candidato sarebbe stato strategico - dice Robol - perché avrebbe portato un parlamentare trentino a Strasburgo. Ma non ci sono stati i tempi per farlo, questo ragionamento, né la volontà degli alleati della coalizione, che hanno deciso di investire su Herbert Dorfmann».

Il quale però tornerà nell'assemblea europea proprio grazie all'accordo col Pd, sottolinea l'ex segretario e deputato Michele Nicoletti, «perché consideriamo un valore dare rappresentanza alle minoranze linguistiche e affermiamo questa politica anche a costo di  sacrifici».
Ma i ragionamenti delle segreterie stavolta non hanno convinto del tutto gli elettori: al Pd sono arrivati moltissimi consensi da chi aveva votato Upt e Patt alle provinciali, questo dicono i numeri. Paura di una deriva populista, effetto Renzi o entrambi, i 93.038 voti raccolti dovrebbero dare la forza al partito di imporre agli alleati un ragionamento perché non si arrivi mai più divisi a una partita così importante: «Il Pd deve diventare il riferimento politico degli altri due partiti», concordano Robol e Manica, perché non è meno territoriale del Patt o dell'Upt e qualcuno dell'Upt, come Vittorio Fravezzi, l'ha compreso molto bene.

Ma il risultato di domenica rafforza il Pd anche in un altro senso: «Dobbiamo recuperare un ruolo di guida anche per quanto riguarda i capitoli di governo, il voto ci dà più forza per insistere sui temi del lavoro, che ci stanno particolarmente a cuore», riassume la segretaria. 

Mentre Michele Nicoletti parla di un «nuovo partito» nato domenica, che grazie al «processo di innovazione messo in campo da Renzi» è riuscito a superare le proprie divisioni interne. Anche il Pd trentino, forte di questa nuova unità, deve puntare ad accelerare «il processo di riforme di cui anche la nostra regione ha bisogno: dobbiamo salvaguardare l'autonomia, ma non possiamo stare fuori dal rinnovamento nazionale. Se i nostri elettori anche in Trentino ci hanno dato questa forza, è perché vogliono stare dentro a questo processo. È un messaggio molto chiaro, anche nei confronti della coalizione di centrosinistra autonomista».

Da anni auspica un Pd a «vocazione maggioritaria» e questa volta ne può parlare come di una realtà. Tra i più soddisfatti per la vittoria schiacciante del Pd a livello nazionale e provinciale, il senatore Giorgio Tonini parla di un «miracolo» realizzato da Renzi, che ha avuto «la straordinaria capacità, la forza e il coraggio di creare le condizioni giuste». Ma il Pd a vocazione maggioritaria, «primo gruppo all'interno del Pse e secondo gruppo in Europa», non regala al Pse l'autosufficienza: i risultati nei 28 Paesi premiano ancora il Ppe e l'avanzata degli eurocritici impone, secondo Tonini, «un accordo fra Renzi e Merkel e fra Pd e Cdu per consentire la governabilità in Europa, di fronte a una Francia azzoppata e a un Hollande indebolito, e impedire il ritorno alla logica dei piccoli stati».

Molto soddisfatto del risultato del Pd trentino è anche il vicepresidente della giunta provinciale Alessandro Olivi: «Gli elettori hanno dato un messaggio chiaro, esprimendo il bisogno di una forza che federi intorno a sé i partiti territoriali, di un partito che diventi la casa di riferimento non solo della tradizionale sinistra, ma anche di molti moderati. E il centrosinistra autonomista ha futuro solo se si riconosce che il Pd è la spina dorsale che tiene in piedi un'autonomia dinamica, che non si chiude nella difesa dell'esistente. Perciò dobbiamo sapere imprimere alle politiche di questa giunta un'accelerazione, sotto il profilo delle riforme». 



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