Pd del Trentino, Autonomia, Centrosinistra autonomista

Non è più il tempo di postulare lo schema del “noi” facciamo il centro, “noi” siamo ed interpretiamo l’essenza del popolo trentino e “voi” siete l’innesto da sinistra di un ingombrante ma necessario partito nazionale. 
Il Trentino non ha bisogno di un partito territoriale costituito dalla somma di PATT e UPT, quanto piuttosto di una coalizione capace di solidificare i suoi elementi strutturali di coesione attorno ad un’idea di specificità autonomistica che sta dentro un contesto di relazioni nazionali ed europee.
Alessandro Olivi, "L'Adige", 15 maggio 2014

Nella cronaca di ieri Annibale Salsa ha ricordato a tutti noi come ancor prima delle vicende del ‘900 i territori alpini da sempre sono stati poco inclini ad essere circoscritti entro contenitori politici nazionali in quanto la marginalità della montagna poteva essere contrastata da ambiti che, indipendentemente da valichi e frontiere, solo attraverso l’autogoverno consentivano di assicurare prospettive di sviluppo agli abitanti delle terre alte.

Sulle stesse colonne troviamo la più “empirica” ricetta politica dell’attuale capogruppo del Partito Autonomista Trentino Tirolese Baratter il quale ritiene giunto il tempo per un soggetto politico unico con l’UPT al fine di creare un “blocco autonomista e popolare” capace in quanto tale di contrastare le difficoltà che incontra l’Autonomia nel confrontarsi con il modello dello Stato “romanocentrico”.

Personalmente ritengo che le premesse culturali e politiche utilizzate per prefigurare un modello di partito territoriale siano altre e diverse dalla sola esigenza di difenderci dalla minaccia del “nemico”.

Mi riferisco non certo agli elementi costitutivi e fondanti del contesto antropologico alpino di cui parla Annibale Salsa, ma alle motivazioni politiche espresse da Baratter che mi sembrano, ad essere indulgenti, quantomeno non nuove.

Il Trentino non ha bisogno infatti di un partito territoriale costituito dalla somma di PATT e UPT, quanto piuttosto di una coalizione capace di solidificare i suoi elementi strutturali di coesione attorno ad un’idea di specificità autonomistica che sta dentro un contesto di relazioni nazionali ed europee.

Non può esistere un’area che si voglia definire ed essere autonomista e popolare senza il contributo decisivo della cultura, delle idee e della classe dirigente del Partito Democratico trentino. E questa è un’idea so molto condivisa all’interno di una vasta area di elettori dell’UPT medesima.

Il PD che non è, come dice Baratter, “il partito che parte da Roma per portare a Trento la sua visione politica nazionale”. Ci mancherebbe altro !! Il citato Degasperi è certo partito dalle nostre terre alte ma ha poi fondato un grande partito che già guardava all’Europa.

Il PD è un partito che trae le sue origini proprio da quella cultura popolare e, aggiungo, riformista che ha rappresentato e sempre più rappresenterà l’architrave su cui costruire una politica contro la conservazione ed il populismo, e che ha saputo valorizzare storicamente proprio le autonomie contro ogni forma di nazionalismo centralista.

Lo schema di PATT e UPT garanti dell’appartenenza territoriale ed il PD appendice della politica nazionale è una forzatura respinta ormai dagli stessi elettori.

Certo il PD deve compiere, come il sottoscritto insiste da tempo, uno sforzo coraggioso di evoluzione verso una dimensione di affrancamento da una logica puramente adesiva agli schemi organizzativi del partito nazionale, concentrarsi maggiormente nella ricerca di un proprio tragitto politico che valorizzi una cultura del governo post-ideologica, interclassista ed autonomista.

Ma a ben vedere questa è una fase già molto avviata all’interno anche del PD nazionale e Renzi sotto questo profilo ha collocato il PD ben al di là della frontiera della sinistra storica.

Una recente indagine ha acclarato per esempio che la maggioranza dei cittadini italiani di fede cattolica votano il Partito Democratico e non credo che il Trentino sotto questo profilo sfugga alla tendenza.

Non è più il tempo dunque di postulare lo schema del “noi” facciamo il centro, “noi” siamo ed interpretiamo l’essenza del popolo trentino e “voi” siete l’innesto da sinistra di un ingombrante ma necessario partito nazionale.

Se oggi vogliamo veramente iniziare un percorso maturo, nuovo, realmente inclusivo verso una prospettiva di coalizione che rappresenti l’embrione di un futuro grande e plurale partito al servizio di un’Autonomia moderna, occorre superare la logica del “noi” e del “voi, della corsa a due velocità, delle simmetrie parziali.

Creiamo invece un luogo di elaborazione di un comune pensiero “lungo”, che non sia stressato dalle scadenze e dai calcoli elettorali.

Un pensiero a cui affidare la ricerca di soluzioni nuove per garantire ai trentini equità, coesione, solidarietà ma anche sviluppo, competitività ed internazionalizzazione raccogliendo le idee e le proposte che i partiti della coalizione oggi possono mettere a disposizione in ragione della loro storia, del loro sedimentato di valori ma anche del coraggio di fare scelte non conservatrici e localistiche.

Ecco questo è il punto, lo spartiacque vero: conservazione o riforme, localismo o apertura?

Il PD in questa legislatura dovrà porre con forza la questione di un Trentino che non arretra sul piano degli investimenti nella conoscenza e nella ricerca, delle politiche del lavoro e di welfare più universalistiche ed inclusive, della semplificazione del sistema istituzionale dove la sussidiarietà passa attraverso lo sgretolamento dell’ipertrofia provinciale e un vero decentramento, dove le imprese vengono aiutate a crescere attraverso i processi di innovazione, di aggregazione, di apertura a nuovi mercati.

Senza il contributo del PD e delle altre forme del riformismo laico non c’è futuro per questa coalizione.

C’è bisogno di un Trentino protagonista sul terreno delle relazioni nazionali ed europee.

Questo non collide l’idea di un percorso che sappia valorizzare il territorio come variante strutturale delle politiche.

Oggi i territori non sono isole, così come non sono luoghi da attraversare, ma sempre più il punto di incontro di nuove interdipendenze: economiche, culturali, di civile convivenza.

Così come non ci potrà essere in futuro un partito territoriale che non abbia come soggetto costitutivo il Partito Democratico.

Non ci potrà essere una coalizione capace di diventare laboratorio di innovazione politica, se non attraverso un rapporto federato con il PD nazionale.

Il banco di prova saranno le elezioni amministrative del prossimo anno, quando capiremo chi lavora per la coalizione e chi per guadagnare qualche Sindaco in più.