Servono imprenditori più coraggiosi, per riempire il vuoto lasciato dal calo degli investimenti pubblici, «che non torneranno mai più ai livelli di prima, anche se qualcuno ancora non se ne è reso conto». Mentre il Pd, più che fare il “cane da guardia” della giunta, da qui al 2018 deve tornare a porsi l’obiettivo «di guidare la coalizione». P. Morando, "Trentino", 6 maggio 2014
Così il vicepresidente della Provincia Alessandro Olivi, che in questa intervista affronta entrambi i piani: quello istituzionale dell’azione di governo in campo economico e il ruolo del Pd nel centrosinistra autonomista. Assessore Olivi, partiamo da qui. Come risponde a chi vede un Pd marginale? Non mi dà fastidio il protagonismo di Rossi, in parte fisiologico per un neo presidente. Ma recitare la parte del cane da guardia della giunta è una posizione perdente in partenza. In questi cinque anni dobbiamo invece costruire tra Pd e Trentino, con i giovani, le forze sociali e quelle economiche, una nuova sintonia di visione che non passa solo attraverso l’esercizio della buona amministrazione. Per che cosa passa la riconquista della centralità? Per la capacità di assumere scelte anche impopolari. Rossi dice però che i partiti sono tutti un po’ vecchi, quasi autolegittimandosi come unico punto i riferimento. Se è per questo al Pd addebita in più un deficit di modernità. Ma attenzione: non è che il Rossi presidente abbia smesso i panni di leader del Patt, anzi. È certo presto per parlarne, ma sta dicendo che fra cinque anni una sua ricandidatura alla guida della coalizione non sarà scontata? Quello schema, che ha premiato il partito più piccolo, è irripetibile. Ma indipendentemente dai destini personali miei e di Rossi, dico che noi dobbiamo lavorare serenamente seguendo due punti fermi: massima lealtà e senso di responsabilità, ma anche l’ambizione di arrivare al 2018 nelle condizioni di tornare a guidare la coalizione. Anche se Patt e Upt, già oggi, sembrano pensare a unire le rispettive forze. In questa fase, chi al nostro interno rappresenta il blocco culturale e sociale più conservatore deve sparigliare le carte. Solo fumo e niente arrosto? Non dico questo. Dico invece che noi del Pd da un lato non dobbiamo preoccuparci, dall’altro va ribadito che senza di noi si creerà un blocco conservatore, con la suggestione di mettere insieme anche pezzi di opposizione, che farà arretrare il Trentino nella logica del proteggersi da “nemici” esterni anziché rilanciare sull’innovazione. Si riferisce alla candidatura europea di Dorfmann della Svp sostenuta da Patt e Upt, con Panizza che ha chiesto il voto anche a Progetto Trentino? Alla fine sarà quasi certamente lui l’unico eurodeputato espressione del territorio. Dorfmann ha fatto un ottimo lavoro, sull’agricoltura di montagna e non solo. Ma domani per il Trentino, più che avere un deputato vicino al territorio, conterà vedere quale Europa uscirà dalle elezioni, con quale impronta riformatrice. E sul tema delle autonomie, del recupero della collaborazione transfrontaliera, sul superamento della tecnocrazia, il Pse ha detto cose molto chiare. Per chiudere questa parte: la sua ricetta per far riguadagnare al Pd la centralità. Primo, essere meno preoccupati di parlare solo alla nostra gente. La vera differenza tra il Patt e noi è che loro si sforzano di parlare anche a quella parte della popolazione che non ha credo partitico, ma che di politica è comunque assetata. E che va conquistata. Secondo, abbandonare definitivamente l’idea dei due livelli: il Pd che governa i Comuni e altri che si occupano della Provincia. Un alibi che nasconde la situazione della volpe e l’uva. Esattamente. Da qui al 2018 dobbiamo fare in modo che il nostro progetto politico diventi il punto di riferimento della coalizione. Non come lo scorso luglio, quando mi sono ritrovato a guidare un partito diviso che voleva perdere. Capitolo economia. Il presidente Rossi si è detto sorpreso dalle critiche delle categorie economiche, non ancora consapevoli del mutato quadro di bilancio. Concorda? Voglio essere ancora più chiaro. In Trentino, storicamente l’impatto degli investimenti pubblici ha sempre oscillato tra il 10 e il 15% del Pil. Ora siamo a meno dell’8: una perdita significativa che, è bene ripeterlo per chi ancora non l’ha capito, è del tutto irrecuperabile. Mentre a livello nazionale la quota percentuale era inferiore e la diminuzione pure è stata minore. Quindi, paradossalmente, qui gli effetti della crisi rischiano di essere ancora più pesanti. Perché più debole è la rete di imprese private, giusto? È così. Mentre è proprio da loro che deve essere riempito il vuoto. La sensazione invece è che stiano ancora aspettando che sia la Provincia a colmare questo gap. Certo non resterete con le mani in mano. Certo che no. Ma la logica, non può che essere quella di far sì che ogni euro di investimento pubblica possa generarne altri da parte del privato, con un effetto moltiplicatore. Un esempio? Invece di un’opera pubblica ordinaria come una palestra, che genera Pil solo in quel momento, meglio la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio, che mette in moto investimenti privati. Ecco perché dico anche che sulla ricerca fare passi indietro sarebbe un errore gravissimo. Certo, con maggiore efficacia nel trasferimento tecnologico. Ma gli investimenti devono produrre aziende: questo è il punto. Quindi abbassare l’Irap non basta? No, non basta più. Lo abbiamo fatto con l’ultima manovra ma ora dobbiamo concentrarci sullo stimolo di investimenti ad alto valore aggiunto. Ma su questo serve uno sforzo culturale all’interno della giunta. Che finora non c’è stato? Solo in parte. Purtroppo.
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