L'editoriale di Simone Casalini sulle Comunità di valle (pubblicato sabato), ha il pregio di descrivere perfettamente lo stallo della riforma istituzionale e le ragioni politiche che lo hanno determinato, a partire da quelle legate al consenso elettorale.R. Pinter, "Corriere del Trentino", 27 febbraio 2014
In Trentino non è più facile che altrove portare a termine delle riforme perchè non c'è attitudine al cambiamento e perchè le riforme toccano sempre interessi particolari difficili da superare. Se poi gli ispiratori di una riforma vengono sostituiti, nel processo di attuazione, da amministratori poco convinti della bontà della riforma è chiaro che la riforma rimarrà al palo.
Ha ragione Casalini nel dire che non si colgono più le ambizioni iniziali e che con la scusa di mettere mano al compromesso pasticciato che ha dato vita alla riforma, si rischia di fatto di cancellare la riforma stessa.
Se poi consideriamo il fatto che Trento e altri grandi comuni che esprimono buona parte degli amministratori provinciali sono per la loro natura urbana indifferenti alla riforma e che è prevalente nei tempi di crisi la domanda di centralizzazione delle politiche è ovvio che la riforma sparisca dalla agenda politica, ovvio ma sbagliato.
Si può discutere quanto si vuole delle soluzioni istituzionali e organizzative ma il tema è e rimane uno solo: si vuole o non si vuole ridiscutere l'accentramento dei poteri a livello provinciale e rendere i territori protagonisti del loro futuro con una redistribuzione dei poteri e delle responsabilità e una nuova cultura del territorio che esca dalla angusta logica del campanile ? E fare tutto questo riducendo i costi della amministrazione e della politica.
Se si vuole prima o poi la formula più sostenibile si trova, se invece, come temo, chi si ritrova con il potere provinciale in mano è più preoccupato di conservare il potere che di ripensarlo allora credo che riforme non se ne faranno.
Non sarebbe la prima volta che chi dalla periferia protesta per l'esclusione e rivendica di essere coinvolto protagonista, ritrovandosi poi al potere si adatta velocemente alla struttura centralizzata e ne diventa primo difensore. Un po' come chi strepita contro i privilegi e poi quando ne matura uno si fa in quattro per difenderlo.
Il tema non è l'elezione diretta delle Comunità di valle, anche se non è facilmente aggirabile il problema di legittimazione popolare di poteri importanti affidati alle Comunità, ma se trasferire poteri o tenerli nelle capaci borse di mamma provincia.
Dopo l'annuncio dell'assessore Daldoss e in attesa di una controriforma c'è stata la delegittimazione politica degli amministratori di valle, lo stop ad accordi e convenzioni e sopratutto il blocco del trasferimento di risorse finanziarie alle Comunità per quelle funzioni che potrebbero dare un senso alle Comunità stesse. Ma quello che vorrei sottolineare è che le risorse e i poteri non sono stati trasferiti ai Comuni ma sono ritornati in Provincia , confermando quello che i dirigenti provinciali avevano comunque tentato di fare anche quando la riforma non era sospesa, cioè resistere ad ogni processo di reale decentramento.
Mi piacerebbe essere smentito ma i dati sono chiari e le proposte che si vogliono portare in manovra di bilancio lo sono altrettanto, a partire dall'allentamento delle gestioni associate.
Che dietro a questo ci siano calcoli di consenso elettorale, quello alimentato con la pretesa di taglio dei costi, e quello legato alla architettura istituzionale più funzionale ad un partito, non mi scandalizza, lo è stato anche nel passato ma almeno veniva accompagnato da una visione riformatrice del territorio, i comprensori prima, le Comunità poi. Ma rilanciare il ruolo dei sindaci senza riorganizzare e unire i 217 comuni e senza riconoscere ai territori la possibilità di essere responsabili protagonisti, riportando la distribuzione delle risorse al rapporto di fiducia tra sindaci e presidente, è come pensare di cambiare l'Italia svuotando le autonomie regionali, cancellando le Province e mantenendo la burocrazia dello Stato.
Non è uno scandalo dire che il Trentino è troppo piccolo per riconoscere ruolo e autonomia ai territori e agli enti locali, ma almeno lo si dica e non si faccia finta che si vuole la riforma tenendo stretti poteri e risorse. Si vogliono sopprimere le 16 Comunità e tenere 216 Comuni? Sono convinto che sia uno spreco e un costoso errore per l'Autonomia provinciale ma lo si dica e la coalizione provinciale lo traduca in un programma. Inaccettabile è che non ci sia un confronto sulla base di una proposta e una decisione, mentre si strangolano le Comunità tagliando loro le risorse e boicottando l'attuazione della riforma .
Il centrosinistra autonomista ha promesso al Trentino un modello di buon governo e una riforma della pubblica amministrazione che renda l'autonomia sostenibile e il territorio protagonista, qualcosa di più che la governance della gestione associata di qualche servizio.
Roberto Pinter
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