Giorgio Tonini, senatore Pd, è infastidito ma non troppo sorpreso. "Le critiche gratuite vanno respinte al mittente, ma con la consapevolezza che dobbiamo essere molto severi con noi stessi: rimotivare costantemente le ragioni della specialità, utilizzarne le risorse con la massima attenzione, evitare di dare un'immagine negativa". Z. Sovilla, "L'Adige", 15 gennaio 2014
"La disputa scomposta di questi giorni per una poltrona di assessore regionale non è certo uno spettacolo costruttivo. Piuttosto, dovremmo dare altri segnali, anche in termini di risparmi. Per esempio, le nostre cariche istituzionali dovrebbero essere parificate al premier il quale, per legge, percepisce esclusivamente lo stipendio di parlamentare, senza indennità specifiche. Perché i nostri presidenti provinciali, al contrario, godono di un compenso aggiuntivo? De Gasperi esortava le autonomie a trovarsi sempre un passo avanti, a dimostrare di saper fare meglio spendendo di meno: ecco, questo è l'obiettivo». Tonini, poi, inquadra «l'incidente» televisivo nel contesto generale che presenta, nell'opinione pubblica nazionale, anche un sentimento di ostilità per le autonomie speciali, tutte assimilate ingiustamente alla «pessima fama che negli anni passati si sono fatte alcune di esse, non certo le nostre». Accanto a questa vulgata superficiale, però, si notano nostalgie centraliste e scorciatoie pericolose, come lo smantellamento tout-court delle Province ordinarie. «In effetti, se gli attacchi più grevi si possono arginare abbastanza agevolmente rispondendo con la realtà dei fatti e delle cifre, trovo molto più insidiosa la posizione di chi riconosce che le Province autonome sono esempi virtuosi, però allo stesso tempo pretende da loro una rinuncia in termini finanziari. In altre parole, sono in molti a ritenere che un'autonomia compiuta sia positiva ma che vada gestita con le medesime risorse delle altre aree del Paese». Qui c'è la questione competenze. «Si tratta di un vecchio retaggio degli anni nei quali Trento e Bolzano hanno potuto accumulare ricchezza, allineando il Pil alle regioni più avanzate del Settentrione, anche in virtù di trasferimenti di risorse pubbliche maggiori rispetto alle esigenze locali di spesa. Poi, però, fin dal primo grande blocco di trasferimenti di competenze (strade e insegnanti), nel 1996-'97 con il governo Prodi, abbiamo assistito di anno in anno a un crescendo di assunzione di responsabilità. Al punto che, oggi, non credo ci sia nulla dal confronto con altri territori. I successi ottenuti nel dialogo con il governo Letta confermano e rafforzano questa evoluzione positiva. Piuttosto, a monte, c'è da convincere lo Stato che il centralismo, oltre a mortificare le autonomie (speciali e ordinarie), in genere non serve affatto a razionalizzare la spesa ottimizzandone i risultati. La sanità (regionale) e la scuola (centrale) sono due esempi chiari di questo raffronto: la prima vede l'Italia ai vertici delle graduatorie internazionali, la seconda ci pone spesso in posizioni imbarazzanti».
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