Parità di genere, sentenze chiarissime

Con la legge costituzionale 30 maggio 2003 n. 1, il legislatore ha introdotto una norma che in materia elettorale - e non solo - potesse garantire l’eguaglianza non solo formale, ma sostanziale, e ha integrato il primo comma dell’art 51 L’integrazione dell’articolo è stata necessaria per rendere più cogente il principio di parità e assicurare una vera rappresentanza alle donne di fronte ad un’innegabile fase di arretramento della posizione femminile.
Margherita Cogo, "Trentino", 12 gennaio 2014


Alla disposizione“ Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. aggiunge A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Il fine della modifica costituzionale è, dunque, promuovere l’uguaglianza nelle opportunità e, pur non dando alcune garanzia di risultato, consentire un innalzamento della soglia di partenza dei candidati. Dopo la modifica dell’art.51 della Costituzione si avverte una diversa sensibilità dei giudici sulle pari opportunità di genere e negli anni più recenti si registra una parziale inversione di rotta sia sulle quote rosa che su altre materie inerenti le azioni positive.
Da questo momento si registrano più numerose “sentenze virtuose”. La prima volta in cui la Corte costituzionale riconobbe la legittimita? della novella costituzionale come applicazione del principio di eguaglianza sostanziale, che necessita e impone, appunto, di rimuovere gli ostacoli della disuguaglianza fu l’ordinanza della Corte n.39 del 2005 che riconosce la legittimità delle azioni positive come quella della presenza femminile almeno di un terzo nelle commissioni di concorso nell’impiego pubblico.
Le sentenze della Corte in materia elettorale sono poi state attente al riequilibrio come nel caso della sentenza n.49 del 2004 con cui ebbe modo di pronunciarsi ritenendo legittime le norme volte al riequilibrio di genere delle liste elettorali a partire dallo Statuto della Regione Valle d’Aosta e dalla legge elettorale della Regione Campania. Anche i Tar si pronunciano in materia sempre più favorevolmente al rispetto delle “quote rosa” in particolare per quanto riguarda la composizione delle giunte comunali, provinciali e regionali. In questi anni più recenti la giurisprudenza in materia va consolidandosi e le sentenze in materia di “quote rosa” sono ormai sempre più convergenti nel riconoscere la legittimità della parità sostanziale nella rappresentanza politica e istituzionale.
Un passo in avanti, sì è poi avuto nelle Sentenze riguardanti la giunta capitolina e quella del Comune di Milano, ove non vi è totale assenza del sesso femminile ma sotto rappresentanza. Infatti la Sentenza 6673 /2011 del Tar Lazio riguardante la giunta capitolina, riguarda non l’assenza di donne in giunta ma una loro clamorosa sotto rappresentanza (una sola donna su dodici assessori). Così anche per il Comune di Milano secondo la pronuncia del Consiglio di Stato n. 3670 del 21/06/2012, non basta una sola donna nella Giunta regionale: è necessario garantire al massimo la parità di genere.
Del resto, perché si possa dire effettivamente garantito il principio della parità di genere, non è sufficiente che vi sia un solo assessore dell’altro sesso, ma l’obiettivo si raggiunge in concreto quando è rispettata, una giusta proporzione. Peraltro, il vincolo delle “quote rose” è stato autorevolmente confermato dalla sentenza n. 81 del 5 aprile 2012, della Corte Costituzionale, la quale stabilisce il principio secondo cui la discrezionalità politica trova i suoi confini nei “principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale, quanto a livello legislativo“, sicché la stessa “composizione politica degli interessi” deve attenersi ai canoni di legalità predeterminati dal legislatore, “in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto“, e quindi necessario attenersi all’art.51 (così come integrato nel 2003) e di conseguenza alle azioni positive per rimuovere le disparità sostanziali di genere. Ricordiamo inoltre la sentenza molto innovativa del TAR del Lazio-Roma, la n.633 del 21 gennaio 2013, verso il comune di Civitavecchia, che addirittura stabilisce una quota per garantire la pari rappresentanza dei generi.
In particolare, la sentenza riconoscendo al principio di non discriminazione "un carattere generale e validitá sia per l'ordinamento sovranazionale che interno, pertanto l'effettività della parità non può che essere individuata nella garanzia del rispetto di una soglia quanto più approssimata alla pari rappresentanza dei generi, da indicarsi nel 40 per cento di persone del sesso sotto-rappresentato, altrimenti venendosi a vanificare la portata percettiva delle norme e l'effettività dei principi in esso affermate. " Altra sentenza interessante è quella del TAR di Lecce del 6 novembre 2013 verso il Comune di Santa Cesarea Terme, sentenza confermata anche dal Consiglio di Stato. La vicenda riguarda le elezioni amministrative, tenutesi nel maggio 2013. Il responso delle urne non fu benevolo con la rappresentanza femminile e nessuna donna fu eletta, risultando così un Consiglio Comunale esclusivamente maschile. Il Sindaco provvide a nominare una Giunta esclusivamente maschile che fu annullata dal TAR con questa motivazione "La presenza femminile all'interno degli organismi di Governo dell'Ente Locale costituisce, per il Sindaco, un obbligo non piú eludibile".
La sentenza continua poi stabilendo che, in base alle norme esistenti, "non costituisce più ostacolo dirimente alla nomina il fatto che la donna o le donne che abbiano eventualmente offerto la propria disponibilità a ricoprire il ruolo provengano da esperienze politiche, o addirittura da partiti politici, esprimenti un indirizzò politico non in linea con quello risultato vincente alle elezioni".
In buona sostanza questa sentenza impone al Sindaco di ricercare al di fuori del Consiglio Comunale un assessore donna e al di fuori e al di sopra dell'orientamento politico. Tutto ciò premesso e tutto ciò saputo,viene da chiedersi come sia stato possibile anche solo ipotizzare una Giunta Regionale tutta maschile e più ancora come sia possibile accettare che sia stato nominato un Ufficio di Presidenza del Consiglio Provinciale di Trento, palesemente illegittimo, vista la composizione solo maschile ?