M. Nardelli, "L'Adige", 13 giugno 2009
Tornare sui propri passi è segno di intelligenza. Che ciò avvenga sul piano dell'azione amministrativa e politica sarebbe oltremodo importante, quand'anche piuttosto raro.
Ma quando è in gioco uno dei luoghi più suggestivi dell'arco alpino, di straordinario valore naturalistico, paesaggistico e faunistico, questa capacità di interrogarsi e, se è il caso, di fare un passo indietro rispetto a scelte che suscitano sconcerto e forte opposizione, questo è semplicemente doveroso.
Mi riferisco alla questione dell'impianto di collegamento San Martino di Castrozza - Passo Rolle, laddove le scelte della Provincia Autonoma di Trento adottate il 30 dicembre scorso, hanno portato ad una profonda frattura nella comunità trentina, il che non giova né alla coesione sociale del nostro territorio in un momento nel quale si chiede invece una forte unità di fronte alle sfide del tempo, né alla montagna e alla sua bio-diversità, minacciate come sono dall'impatto dell'azione dell'uomo in nome del profitto. Eppure la scorsa legislatura si era chiusa con una diffusa convinzione, ovvero che le riserve sul progetto di impianto sul Colbricon erano tali da rendere necessaria la ricerca di soluzioni di collegamento di minore impatto ambientale e più rispondenti al concetto di "mobilità alternativa". In questa direzione andava del resto lo stesso Programma di legislatura del Presidente Lorenzo Dellai quando, nel capitolo "Essere amici dell'ambiente", indicava fra l'altro la necessità di «frenare la perdita di bio-diversità nell'arco alpino, valorizzando anche il ruolo delle aree protette» e di «elaborare un piano di legislatura orientato al recepimento dei protocolli della Convenzione delle Alpi e alla predisposizione di misure adeguate in relazione al cambiamento climatico». Ora la domanda è molto semplice: che cosa centra con tutto ciò l'attuale ipotesi di impianto di collegamento San Martino - Passo Rolle attraverso una delle aree più delicate e protette delle Dolomiti? La risposta sta in una forzatura operata da una parte degli impiantisti (perché va ricordato che nella realtà interessata ci sono opinioni diverse sulla migliore soluzione), ripresa dalla Giunta in una fase di interregno, senza tener conto dell'orientamento assunto in sede consigliare con l'approvazione dell'ordine del giorno n.286 dell'8 maggio 2008 con il quale si raccomandava di garantire una valutazione approfondita sulle soluzioni alternative con particolare riferimento al collegamento in questione, in grado di dare risposte alla domanda di viabilità alternativa a quella privata. E dichiarare l'impianto in questione una forma di "mobilità integrata alternativa" ha solo il sapore della beffa e getta un'ombra sul concetto stesso di mobilità alternativa. Occorre un passo indietro. La forzatura operata ha già provocato danni prima ancora che le ruspe si siano messe all'opera. Il fatto poi che una realtà importante e parte costitutiva dell'identità del nostro territorio come la SAT si trovi a decidere di ricorrere alla Commissione delle Comunità Europee per inadempimento del diritto comunitario contro la decisione della Provincia Autonoma di Trento rappresenta una fatto grave ed inedito. E per ciò stesso da sanare. Se il Trentino in questi anni non è stato preda dei fenomeni di spaesamento, omologanti e per ciò stesso impoverenti, lo si deve anche a quello straordinario tessuto sociale e culturale di cui realtà associative come la SAT sono parte decisiva. Non dovremmo mai dimenticarlo.Se le soluzioni alternative finora studiate non hanno dato sufficienti garanzie di minor impatto ambientale, si cerchi ancora, responsabilmente e con il concorso di tutti. Non mancano nell'arco alpino sperimentazioni positive di collegamento che pure hanno rispettato gli ecosistemi territoriali. In questa vicenda non c'è contrarietà al collegamento, ma la preoccupazione di fare bene e di non rovinare in maniera irreversibile uno dei siti più spettacolari del nostro ambiente montano.