«Renzi ha annunciato con chiarezza che cosa avrebbe fatto, ora immagino che sfiderà il governo, giorno dopo giorno, sulle cose concrete da realizzare». Giorgio Tonini , senatore già fra in protagonisti della nascita del Pd accanto a Veltroni, è un sostenitore della prima ora del sindaco di Firenze. Alle primarie di un anno fa lo aveva preferito a Pier Luigi Bersani, oggi, con un partito che ha alle spalle mesi dolorosi, può esultare per un successo che «apre una nuova stagione di speranza per l'Italia».
Z Sovilla, "L'Adige", 10 dicembre 2013
Primo scoglio la legge elettorale? «È una priorità alla quale, però, Renzi intende giustamente affiancare la riforma del Parlamento e su questo terreno sfiderà anche le oppposizioni, forte della legittimazione avuta dai cittadini. L'obiettivo è ridurre il numero dei deputati e trasformare il Senato in una Camera dei rappresentanti di Comuni e Regioni (sindaci dei capoluoghi e presidenti), chiamati a riunirsi solo qualche volta l'anno, in occasione di decisioni legislative particolarmente importanti, come la legge di stabilità. È un modello consolidato in altre democrazie occidentali».
Però con i berlusconiani all'opposizione il percorso delle riforme costituzionali si fa alquanto accidentato. «Mi rendo conto che la realtà quotidiana potrebbe rivelarsi particolarmente ostica, ma è fuori di dubbio l'urgenza della questione costi della politica ed efficienza delle istituzioni. In mancanza di un'ampia condivisione parlamentare (e dunque della maggioranza qualificata dei due terzi) si potrà procedere lo stesso e poi chiamare i cittadini a esprimersi nel referendum. Anche l'abolizione delle Province ordinarie richiede un intervento sulla Carta fondamentale e si tratta di un provvedimento prezioso, che semplifica le articolazioni territoriali dove oggi abbiamo un eccesso di livelli intermedi elettivi (un po' come la problematica riguardante le Comunità di valle in Trentino). Insomma, in tutta questa partita, che fra l'altro cancella un miliardo di costi politici, Renzi ci mette la faccia e dunque sono convinto che si farà sul serio per ottenere risultati palpabili nel 2014».
Se in Parlamento invece si facesse «melina», a Renzi non rimarrebbe che andare alle urne prima del fatidico 2015? «Resta sul tappeto il nodo della legge elettorale. Non è immaginabile andare al voto con un sistema proporzionale (cioè che resta del Porcellum dopo la sentenza della Consulta) che ci riporterebbe dritti agli anni Ottanta. Le strade che vedo sono due. Quella minimalista è ristabilire la soglia di accesso al premio di maggioranza della legge vigente. L'altra, più organica, è fissare il premio a una quota attorno o poco oltre il 40% e, nel caso nessuno la raggiunga, prevedere il ballottaggio tra le prime due o tre coalizioni. Certo, su questo ora Renzi dovrà affrontare una battaglia assai più dura delle primarie, sarà necessario costruire alleanze, specie se l'attuale schieramento a sostegno del governo non dovesse raggiungere un'intesa. Comunque sia, serve in fretta una legge elettorale di impronta maggioritaria, in grado di assicurare la governabilità».
Renzi incalzerà un governo che già di per sé ha i suoi problemucci: davvero questo equilibrio potrà durare fino alla primavera 2015? «Tutto dipenderà dal confronto sulle cose da fare: in fondo oggi per Letta le condizioni sono migliori, ma deve dimostrare di saper aggredire le problematiche in agenda, a cominciare dall'economia. Qui Renzi propone un'idea forte sul fronte del lavoro: una grande riforma nel segno della Flexicurity, per creare nuovi posti superando la vecchia idea di stabilità e chiedendo alle persone di mettersi in gioco accettando di cambiare spesso occupazione, con la garanzia che lo Stato offre sicurezza economica e opportunità di formazione per i periodi intermedi. L'Italia può tornare a crescere, ma bisogna adottare una sana dose di "blairismo" modificando la cultura tradizionale della sinistra. Giovani, donne e over 50 sono le tre categorie che principalmente necessitano di riforme che allarghino la base degli occupati, archiviando le politiche che tutelano solo il nocciolo duro del lavoro maschile di mezza età con posto più o meno fisso».
Questa contrapposizione con nesso causale fra precari e garantiti, però, è un'equazione che molti contestano, non solo nel sindacato. Non si rischia, al contrario, di estendere e rinnovare il lavoro atipico? «La precarietà che abbiamo visto crescere in questi anni è l'altra faccia della rigidità del mercato del lavoro. Bisogna assecondar ele dinamiche del mercato e favorire la mobilità dei lavoratori dalle aziende che chiudono a quelle che aprono (ma il saldo occupazionale deve essere positivo). Ciò vale anche nel pubblico, che ha bisogno di ricollocare il personale per rispondere a nuove esigenze. Certo, è una sfida complicata, ma non abbiamo molto da perdere: che cosa resta da difendere in un Paese con bassa produttività, salari modesti, poca occupazione, pressione fiscale "scandinava", elevati tassi di povertà e diseguaglianza sociale? Renzi, inoltre, propone una semplificazione, un unico codice del lavoro: oggi gli stranieri non investono in Italia per diverse ragioni e la confusione nel diritto del lavoro è una di esse»