TRENTO. Sui dati “lordi” registrati dall’Azienda sanitaria (seicento accessi all’anno a strutture sanitaria da parte di donne “per violenza altrui”), il neoassessore alle pari opportunità Sara Ferrari non si dilunga un secondo più del necessario. «Se non sono sottoposti a un’analisi scientifica, i dati possono portare a conclusioni molto lontane dalla realtà. Ma è un fatto che per quanto concerne i dati in nostro possesso ci sia un aumento delle denunce da parte di donne che hanno subìto violenza».
G. Lott, "Trentino", 24 novembre 2013
Assessore, il Trentino in fatto di legge specifica è arrivato prima del resto d’Italia. Non è però che ciò ci renda per automatismo un’isola felice.
É una legge che mi è molto cara, ma l’importante è che ci permette di fare un lavoro molto più efficace sia sulla presa in carico del fenomeno, sia sulla prevenzione.
Di violenza sulle donne molte strutture si occupavano anche prima del 2010...
É vero. Ma mentre prima gli interventi erano utili ma isolati, la legge dispone un coordinamento tra essi, oltre alla presa in carico delle donne che hanno subìto violenze.
C’è anche un risvolto preventivo, non solo di intervento post-violenza.
Sì. Stiamo lavorando molto nelle scuole, sull’educazione alla relazione tra generi. Assieme alle istituzioni scolastiche stiamo formando un rapporto tra maschi e femmine diverso rispetto a quello di oggi. Facciamo riflettere i ragazzi sulle relazioni di genere, cioè tra uomini e donne. É un lavoro che va unito a una campagna di sensibilizzazione pubblica sul tema.
Parlarne contribuisce a prevenire il fenomeno?
Sono del parere che la violenza sulle donne, quando accade, vada resa pubblica. Se rimane confinata nel privato delle relazioni familiari non emerge e tende a sparire. Ancora oggi vediamo solo la punta dell’iceberg. Si calcola che le denunce rappresentino solo il 10% della casistica, e accade in Trentino come nel resto d’Italia. Non siamo un territorio virtuoso.
Cos’è stato fatto in Trentino in questi ultimi tre anni?
Da due anni siamo gli unici in Italia a condurre un progetto pilota: assieme alle forze dell’ordine abbiamo stipulato un accordo per condividere i dati delle denunce, mentre all’Università abbiamo affidato il compito di analizzare i dati e domani presenteremo i primi dati confrontabili. Quelli dello scorso anno non avevano alcun precedente. Partendo dai dati, si possono fare approfondimenti per individuare interventi mirati. Inoltre abbiamo aperto case-rifugio e altre strutture residenziali o di accoglienza per aiutare le donne che hanno subìto violenze.