CONVENZIONE NAZIONALE - Cuperlo: "Cambiare sì. Questa è la sfida"

SINTESI DELL’INTERVENTO DI GIANNI CUPERLO DURANTE LA CONVENZIONE NAZIONALE DEL PD.
"Qualunque sia la vostra opinione io prima di tutto vorrei ringraziarvi per essere qui. E con voi vorrei ringraziare chi tutto questo lo rende possibile, oggi come in tanti altri momenti. Sono quelli che aprono i circoli. Che montano i gazebo. Loro sono l’umanità che ci fa essere quello che siamo. Un partito.



Senza un partito di popolo – senza un nuovo centrosinistra popolare – l’Italia repubblicana oggi è in pericolo. Io lo penso perché ogni generazione, al fondo, è figlia del suo tempo. Ad altri – prima di noi – è toccata la prova orribile della guerra, e poi quella travolgente della Liberazione. A noi tocca condurre il Paese fuori dalla crisi più profonda della sua storia. Crisi dell’economia. Del patto costituzionale. Di un’etica pubblica. Crisi della dignità per milioni di donne e uomini. La “globalizzazione dell’indifferenza” l’ha chiamata Papa Francesco quando è sceso a Lampedusa.

La verità è che tutte le grandi crisi rovesciano gli equilibri. Ci sono attori che scompaiono e ne nascono di nuovi. La destra si è spaccata. E sta chiudendo una pagina del ventennio. Lo scontro sarà tra una visione padronale della democrazia e la scommessa di un conservatorismo di matrice europea. In mezzo c’è un governo che adesso non ha più alibi. E deve scuotere l’albero perché i frutti cadano a terra. Ora.

Il presidente del Consiglio un mese fa ci ha detto “siate esigenti”. Ecco è tempo di esserlo. E di dire al governo, al nostro governo: troviamo assieme il coraggio di fare quello che il Paese si attende da noi. Ma buttiamole via, una volta per tutte, le ricette che ci hanno portato dove siamo. Non basta criticarle. Vanno cestinate.

E allora se tra noi c’è chi pensa che la via – dopo vent’anni – sia privatizzare le ferrovie e la Rai, prelevare 4 miliardi alle pensioni lorde sopra i 3.500 euro, avere un contratto unico e abolire l’articolo 18, tenersi la riforma Fornero al netto degli esodati, sposare la flessibilità e col Sindaco d’Italia passare da un regime parlamentare a una Repubblica presidenziale, è giusto che lo dica.

Ma è giusto dire – e io mi sento di dirlo qui – che quel disegno, quella visione, sono radicalmente sbagliati. E che parlare quella lingua e proseguire su quella strada non significa chiudere il ventennio. Vuol dire riprodurlo. Magari ammodernato. Con una nuova veste. Nuova scenografia. E nuovi testimoni. Ma riprodurlo. Dire che l’Italia è ridotta così per causa dei pensionati, per colpa dei sindacati, per colpa dei partiti, non è soltanto un’affermazione sbagliata. E’ una dichiarazione insopportabile.

E mica perché – al netto dei pensionati – partiti e sindacati non abbiano avuto limiti o compiuto errori. Anche gravi. Ma è proprio la cultura che quella frase sorregge a spingere verso un racconto che porta fuori strada. Cambiare tutto sì: questa è la sfida. Ma devi dire dove lo vuoi portare questo Paese e questo partito. Io non voglio riportarlo da dove siamo venuti. Vorrei portarlo dove non siamo mai riusciti ad andare.