Riformismo trentino: giù le mani

Non vorrei dare troppa importanza alle sfortunate dichiarazioni dell’onorevole Ottobre sulla figura di Cesare Battisti. O, meglio, non voglio commentare l’affermazione in sé - che si commenta da sola e che ha già ricevuto le giuste ed autorevoli censure - ma vorrei chiarire, a chi ha della storia dell’autonomia trentina una interpretazione parziale, il ruolo determinante del riformismo trentino.
Alessandro Olivi, 7 novembre 2013

Nella sua storia la cultura riformista trentina, infatti, è riuscita a declinarsi come forza territoriale in maniera matura. Lo Statuto d’Autonomia non è un risultato “monocolore” ma è il frutto anche di un contributo sostanziale dei riformisti e della sinistra democratica trentina. Cesare Battisti, socialista e irredentista democratico, punto di riferimento anche per i ceti popolari, fu in grado di collocare un’efficace azione locale in una dimensione europea e non ancorata ad una visione localistica ed autocratica.
Battisti possedeva un’idea di un socialismo trentino attento sia all’esperienza della socialdemocrazia austriaca ed europea che ai riferimenti del riformismo italiano. Una visione che ha percorso stabilmente la storia trentina e che ne ha segnato le tappe più importanti. Si pensi al programma del Movimento socialista trentino del febbraio del 1944 in cui Manci, Ferrandi e Bettini sostenevano che la nuova Europa dovesse essere composta da Stati federali, dove le autonomie fossero un contrappeso alle tendenze autoritarie e stataliste. Si pensi anche all'ASAR che nel secondo dopoguerra fu un movimento di popolo trasversale, dove la corrente riformista fu tutt’altro che irrilevante.
Ma si pensi anche al ruolo dei socialisti trentini nei primi anni Sessanta nella risoluzione della crisi della Regione che portò al secondo Statuto di Autonomia, esperienza virtuosa di convivenza tra popoli. Nemmeno oggi la questione territoriale può essere interpretata in un’accezione meramente localista: la sensibilità di questo centrosinistra autonomista è - e dovrà essere - in grado di proporre un’alternativa ad una lettura conservatrice e regressiva tipica di un certo populismo di destra. Il Trentino, in questo senso, ha rappresentato una florida anomalia: credo che le ragioni della scarsa aderenza di certe demagogie nazionali siano attribuibili in larga misura proprio al rapporto insolubile che si è creato tra riformismo e autonomia. Perciò io credo che le considerazioni dell'onorevole Ottobre rappresentino un passo indietro rispetto al percorso intrapreso in questi anni dal centrosinistra autonomista.
Un percorso che mira a superare il confronto tra “gli uni chiusi in un Land” e “gli altri chiusi nei confini nazionali” con il connubio tra la tradizione autonomista e quella del riformismo trentino (“gli autonomisti con respiro europeo” e “i democratici con respiro autonomista”). Il rischio, altrimenti, è quello di appiattire il confronto tra localisti e nazionalisti. Invece, l’antica vocazione europeista, e riformista, della nostra provincia deve essere comunemente considerata un patrimonio fondamentale per il futuro della nostra Autonomia.