Alessandro Olivi non è ancora assessore all’economia e, anche se tutto lascia prevedere che lo sarà, lui ci tiene a precisare che parla delle priorità economiche della provincia «per l’esperienza maturata», lasciando il futuro «alle valutazioni del presidente Rossi». Quattro le «strozzature» da rimuovere perché il motore del Trentino possa riprendere giri: la scarsezza del credito alle imprese, i tempi eccessivi della burocrazia, l’elevato costo del lavoro e un collegamento troppo incerto tra ricerca e imprese.
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 6 novembre 2013
Quanto all’agenda della prossima giunta, tra i primi atti Olivi indica i nuovi ammortizzatori sociali, slegati dall’assistenza e parte dello sviluppo.
Assessore (la giunta è ancora in carica), quale la fotografia dell’economia trentina oggi?
«In sintesi, il Trentino è stato più bravo a difendersi dalla crisi, che a reagire. Non parlo volutamente di agganciare la ripresa, perché, al di la delle querelle tra Saccomanni e l’Istat, di ripresa nazionale è difficile parlare e il Trentino risente ovviamente del quadro nazionale».
Quindi nessuna ripresa in vista a livello locale?
«Rispetto ai tonfi del 2012, nel 2013 la crisi si è stabilizzata, ma permangono dati che non inducono all’ottimismo».
Quali?
«La nostra economia è ancora troppo legata alla domanda interna e alla spesa pubblica. La pesante crisi dell’edilizia rivela questo stretto legame e contribuisce ad aggravare un altro problema, quello del credito. Le banche sono appesantite dai prestiti erogati all’edilizia e, negli ultimi mesi, il credit crunch provinciale si è dimostrato peggiore del dato nazionale, è la prima volta».
Il bilancio di previsione 2014, però, era basato su una crescita del Pil provinciale superiore all’1%.
«Alla luce di questa evoluzione, la previsione contenuta nella manovra si sta rivelando ottimistica».
Una fotografia piuttosto grigia.
«Intendiamoci, le eccellenze non mancano e i segnali positivi nemmeno. Penso ai progetti messi recentemente in campo da Dana, Adige sys, allo sviluppo di newco, alle novità nel campo della meccatronica. Quanto ai segnali, se le domande di contributo per investimento nel 2012 erano crollate del 40%, nel 2013 sono tornate a crescere. Se la ripresa del sistema paese pare lontana, la ripartenza di alcuni nostri settori può e deve realizzarsi».
Come?
«Io credo esistano quattro strozzature che vanno rimosse. La prima riguarda il credito. Molto è stato fatto in termini di sostegno, senza però riuscire ad incidere su un dato: il 90% del credito alle imprese in Italia e in Trentino è erogato dalle banche, contro il 60% dell’area euro e il 50% degli Usa. Un primo passo sarà il decollo del fondo di rotazione (80 milioni), l’erogazione sarà sempre decisa dalle banche, ma almeno metà del capitale prestato, offerto dalla Provincia, sarà a tasso zero. La vera scommessa sarà poi il fondo strategico (con Laborfonds e privati, ndr): 200 milioni non gestiti dalle banche, ma da una sgr, le imprese si finanzieranno emettendo minibond. In questo modo, contiamo anche che almeno parte dei capitali trentini investiti all’esterno possano rientrare. Per le imprese più piccole, fondamentale sarà il futuro ruolo di “banche” dei Confidi, enti delle imprese gestiti dalle imprese».
La seconda strozzatura?
«La burocrazia. La nostra è efficiente se paragonata a quella nazionale, ma non basta. Serve una mezza rivoluzione, soprattutto per quanto riguarda i tempi. Abbiamo già fatto molto per ridurli, ma ciò che serve è cambiare radicalmente approccio. Oggi tra la domanda per fare qualcosa e l’autorizzazione abbiamo un tempo morto in cui non si fa business. Non si tratta di ridurre la sicurezza sul lavoro, la regolarità previdenziale, la tutela dell’ambiente. Si tratta di lasciare che l’impresa possa poter partire mentre chi ha il compito di controllare la controlla».
La terza?
«Il costo del lavoro. Qui i nostri margini sono ridotti, essendo il cuneo fiscale competenza nazionale. Possiamo però agire sull’Irap e lo faremo dimezzandola così come promesso nel programma del candidato presidente. Lo faremo badando alla qualità del lavoro, non possiamo premiare chi si serve del precariato polverizzato, chi licenzia oggi per assumere dopodomani. Abbiamo anche già messo lì 24 milioni in due anni per la produttività, ma invece di fare nuovi contratti di secondo livello, molte imprese hanno disdetto quelli in essere. È una regressione».
Ultimo punto?
«La ricerca. So che anche Rossi è perfettamente d’accordo: investiamo l’1,5% rispetto allo 0,4% nazionale, ma quelle risorse vanno monitorate e diventare impresa. Si sbaglia a pensare che la ricerca riguardi solo l’industria. Ne ha bisogno la nuova edilizia, l’agroalimentare, perfino il turismo».
A proposito di turismo, Trentino marketing resterà in Trentino sviluppo?
«Diciamocelo: l’unione non ha funzionato. I comparti sono rimasti separati, divisi da una sorta di muro invisibile, nè sono state create economie di scala. Però in Trentino serve questa sinergia tra i diversi comparti dell’economia. Siamo un territorio piccolo, non possiamo immaginare, solo per fare un esempio, che un nuovo capannone possa nascere senza inserirsi al meglio in un paesaggio che è il primo prodotto del nostro turismo. Credo sia un errore pensare, per i prossimi anni, a una regia economica divisa per comparti».
Le politiche del lavoro sono più vicine alla sanità, o allo sviluppo?
«Direi assolutamente allo sviluppo. Ieri l’ammortizzatore sociale agiva in un contesto di quasi marginalità, almeno in Trentino. Oggi, con la disoccupazione giovanile che cresce ogni giorno, le politiche attive del lavoro rappresentano una leva indispensabile dello sviluppo».
I nuovi ammortizzatori sociali sono rimasti sospesi tra le due legislature. Partiranno?
«Io li immagino come uno dei primi provvedimenti della prossima giunta. In campagna elettorale una persona sulla sessantina mi ha spiegato che una sera si è trovata a scrivere il proprio curriculum sullo stesso tavolo in cui sua figlia, 25 anni, scriveva il suo. La riforma Fornero ha fatto un po’ di manutenzione, cristallizzando però una situazione potenzialmente da scontro generazionale. Perché,
ad esempio, noi puntiamo sulla staffetta generazionale? Perché dobbiamo accompagnare economicamente i lavoratori in uscita e puntare con decisione sull’inserimento dei giovani. I nuovi ammortizzatori ci devono servire ad accompagnare la transizione di ogni lavoratore, visto che in futuro quasi nessuno farà lo stesso lavoro dall’inizio alla fine della sua vita professionale».