"Noi siamo in campo per difendere un'esperienza di governo positiva: parliamoci chiaro, quello tra Pd e forze autonomiste è l'unico asse di governo credibile per il Trentino".D'Alema stuzzica Dellai: "Torni nel centrosinistra", T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 23 ottobre 2013
D’Alema: «Dellai? Torni tra noi nel centrosinistra» P. Morando, "Trentino", 23 ottobre 2013Prodigo di suggerimenti da “padre nobile”, Massimo D’Alema spiega tale propensione con un verso di Fabrizio De André: quello della gente che dà buoni consigli «se non può più dare il cattivo esempio». Citazione elegantemente autoironica, e come tale compiaciuta. Ma si sa, l’uomo è questo. Lo stesso cioè che sorvola, altrettanto elegante, sul verso precedente di “Bocca di rosa”: che è sempre su chi dà buoni consigli, ma «sentendosi come Gesù nel tempio». Appunto. Al netto dell’affettazione, l’ex presidente del Consiglio ne ha infatti per tutti. E con chiarezza estranea al politichese. Da Renzi a Berlusconi, da Monti al nostro Dellai. Sul quale vale la pena riportare subito il giudizio, o meglio, il consiglio dalemiano: «Torni nel centrosinistra, dove ha militato per diversi anni e dove nessuno lo ha mai maltrattato, anzi, è stato trattato piuttosto bene... Torni tra noi, qui nel grande centrosinistra c’è spazio anche per posizioni più moderate». Consiglio cui Dellai, a stretto giro di posta, ha replicato laconico: «Ringrazio D'Alema per le parole che mi ha rivolto. Ma io sono già agevolmente nel centro sinistra per come lo intendo io. E poi, in ogni caso, io non sono un moderato, sono un popolare». Salito ieri in Trentino a sostegno della campagna del Pd, Massimo D’Alema lo ammette: anche se il voto del 27 ottobre riguarda una terra «originale e peculiare», in cui il quadro delle forze politiche è diverso da quello romano, come sempre in questi casi sarà anche un test di portata nazionale, Primo, perché la scadenza elettorale cade in un momento «di particolare congiuntura politica», cioè il governo «di ripiego» delle larghe intese. Un voto quindi che servirà per capire «in che modo si orienteranno i cittadini rispetto alle principali aree politiche del Paese». Secondo, e soprattutto, perché quello di domenica prossima «costituirà un indice importante per verificare la stato di salute della partecipazione politica». Il numero di quanti non si recheranno alle urne sarà insomma importante quanto i risultati dei partiti. Lo ripete più volte, D’Alema, che le provinciali hanno valenza nazionale: il che dà la misura di quanto il concetto gli stia a cuore. E può darsi che si tratti di un calcolo preciso: per riportare alle urne certi elettori delusi dal Pd, solo il richiamo della foresta potrebbe ancora funzionare. Sa bene che il fattaccio della mancata elezione di Romano Prodi al Quirinale rischia di pesare come un macigno, qui per giunta ulteriormente gravato dalle mille divisioni del Pd trentino di questi mesi. Comunque sia, «da quella vicenda traumatica siamo usciti animati da un maggiore senso di responsabilità, che in termini di stabilità di governo, sta dando risultati positivi: lo dimostra lo spread che cala, sono soldi che gli italiani risparmieranno. Si tratta di vedere se i cittadini lo capiranno: il voto a Trento ci parlerà anche di tutto questo». Nessun dubbio sulle credenziali autonomistiche del Pd: «Noi siamo in campo per difendere un’esperienza di governo positiva: parliamoci chiaro, quello con il Pd è l’unico asse di governo credibile», afferma D’Alema, secondo cui «la destra non è mai stata in sintonia con l’autonomia di questa terra perché il federalismo leghista è milanocentrico e la Padania altro non è che un nuovo modello centralista». Pd dunque garante per l’autonomia, a Trento come a Bolzano, «dove ancora mi ringraziano per le norme d’attuazione sull’energia». Ma allora, si parla di fine anni ’90, la spesa pubblica era il 46% del Pil, mentre oggi è il 53. D’Alema lo ricorda per meglio inquadrare lo scontro Trento-Roma sulle riserve all’erario, parlando di «coperta stretta» ma anche di «dialettica positiva» tra Stato e autonomie. E assicurando che la presenza di Letta a palazzo Chigi da questo punto di vista si rivelerà positiva. Già detto di quello a Dellai, non manca un caldo suggerimento al centrosinistra trentino. E riguarda l’ipotesi di alleanze post-voto se non dovesse ottenere una solida maggioranza: «Consiglio vivamente di raggiungere il 47%, per non cadere nella tentazione di farsi illuminare da esperienze romane». Cioè il cattivo esempio del centro-sinistra col trattino che, con il viatico di Cossiga, nel 1998 portò proprio D’Alema a Palazzo Chigi. Un traguardo, quello del superamento del 40% (e dunque del premio di maggioranza), su cui D’Alema è più che fiducioso. Così come sulla primazia del Pd nella coalizione nonostante il ko di Olivi alle primarie: «Avvenne anche a Milano, per l’elezione del sindaco: vinse Pisapia di Sel, ma alle elezioni fummo il primo partito». Che Berlusconi rimanga comunque in cima ai pensieri di D’Alema, lo dimostra il parallelismo che l’ex premier traccia tra lui e, attenzione, Alberto Pacher: «Purtroppo non c’è, la sua candidatura sarebbe stata importante: è stato a lungo sindaco di Trento, so che la sua popolarità è altissima. Ma è una scelta da rispettare, visto che si parla tanto dei politici che non mollano mai il potere. Certo dispiace vedere altri soggetti aggrappati alla poltrona a Roma, quando invece dovrebbero abbandonarla».D'Alema: l'alternativa al centrosinistra è il caosL. Pontalti, "L'Adige", 23 ottobre 2013A Trento per tirare la volata al Pd, Massimo D'Alema, ieri mattina ne ha avute per tutti. Senza slogan, né grida - per quelli, rivolgersi domani a Grillo («di lui non penso bene, ma piaccia o no è la terza forza del Paese») - ma con garbati inviti, tra una stilettata e l'altra, sorridendo sornione sotto i baffetti.Ha invitato i trentini a «votare per il centrosinistra autonomista, perché è giusto confermarlo: ha governato bene, ed è l'unica possibilità credibile per il Trentino. Il resto è disperdere voti, e porta al caos».Ha invitato la coalizione a prendere «non il 40%, ma il 47%: lo consiglio vivamente, per non farsi illuminare dalle esperienze romane di ingovernabilità e larghe intese».Ha invitato Lorenzo Dellai orfano di Monti «che non rappresenta il terzo polo» a «tornare nel centrosinistra, dove ha militato per diversi anni ed è anche stato trattato piuttosto bene».Servisse a qualcosa, avrebbe pure invitato Alberto Pacher a ripensarci: «È un esponente prestigioso del Pd, che purtroppo ha deciso di ritirarsi. C'è gente a Roma che è incollata alla poltrona, di cui nessuno sentirebbe la mancanza. E invece sono gli elementi validi a lasciare. Peccato, la sua candidatura avrebbe avuto una grande forza».Quella forza che non ha avuto il Pd alle primarie di coalizione: ma D'Alema non fa drammi: «Anche a Milano Pisapia non era il nostro candidato, ma Sel non è diventato il primo partito. Il Pd qui si confermera forte».E qui arriva la prima stoccata: «Certo, avere un nostro candidato presidente sarebbe stato una buona cosa, ma le primarie chiamano a scegliere sulle persone, non sui partiti. Qui si è arrivati alle primarie in un clima di divisioni interne - successive alla rinuncia a Pacher - che non ha giovato al Pd. Sarebbe bastata un po' più di unione...» e Olivi che ha annuito eloquentemente, dopo aver spiegato come «l'autonomia non sia un gioiello da lucidare, ma un esercizio di responsabilità».Ma al di là del nome del candidato di coalizione, l'obiettivo è quello di arrivare ad una conferma ad altissime percentuali per il Pd: «Perché si tratta di un partito che ha sempre rappresentato il partner naturale per le autonomie speciali: il centrodestra ha sempre sposato l'idea federalista della Lega, un federalismo milanocentrico, padano, che non vede di buon occhio le autonomie. Per questo il centrodestra non è mai entrato in sintonia con queste terre».Anche se, ultimamente, le frizioni con Roma non mancano. Molte più di quando ad esempio lui era premier o ministro, gli fanno notare: «Certo, quando c'ero io, con tutti voi era un idillio. Ma è perché le condizioni economiche erano diverse. Era più facile venirsi incontro».Infine, uno sguardo al panorama nazionale, con un Renzi sempre più arrembante (e con cui non va molto d'accordo, anche se a unirli c'è il calcio: «Domenica, da romanista, gli ho scritto per felicitarmi di come la sua Viola ha battuto la Juve»): «Vede la corsa alla segreteria come un trampolino verso palazzo Chigi. Peccato che ora un premier ci sia e si chiami Enrico Letta. Insomma, Renzi non capisce che sta prendendo la rincorsa per saltare in una piscina in cui, ora, non c'è acqua. Lo inviterei a essere prudente, rischia di farsi male».Sibillino, così come come lo è stato Dellai, nel pomeriggio, replicando all'ex premier: «Lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Ma io sono già agevolmente nel centro sinistra, per come lo intendo io».
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