Con la cultura ormai si mangia

C'è un grande assente da questa campagna elettorale: sono i temi  e i problemi legati alla conoscenza e alla cultura. Non è, ovviamente, un’assenza assoluta dal momento che la lettura dei programmi e delle proposte dei singoli partiti permette di cogliere le differenze e il grado di attenzione a questi temi. Nel programma di Ugo Rossi e nella proposta programmatica del PD, ad esempio, è ben delineata la centralità della formazione, della ricerca e della cultura, così come è evidenziata la rilevanza di questi temi rispetto alle prospettive del Trentino, al suo sviluppo, alla sua capacità di andare “oltre la crisi”.
Giuseppe Ferrandi, "Trentino", 12 ottobre 2013


È però emblematica la disattenzione che avvolge quello che dovrebbe essere il “cervello” del sistema trentino. Ed è un segno dei tempi. Lo sanno bene gli insegnanti e le componenti del mondo della scuola e della formazione, lo vive sulla propria pelle l’esercito dei precari che affollano il comparto della conoscenza, coloro che vivono di cultura, anzi che “mangiano la cultura”. “La cultura si mangia!” è proprio il titolo di un libro uscito recentemente a firma di Bruno Appaia e Pietro Greco. Un libro, almeno in parte, demoralizzante quanto documenta il grado di arretratezza di buona parte del Paese.
Negli annali è rimasta la celebre dichiarazione di Giulio Tremonti (14 ottobre 2010) “Con la cultura non si mangia” e, ancora il grande statista di Sondrio, “di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia”. La domanda è chi reagì e come si reagì a quella battuta? Siamo proprio convinti che dietro la “disattenzione”, anche di casa nostra, nei confronti della conoscenza e della cultura non si nasconda qualcosa di più profondo? L’attuale crisi sembra aver ridotto ulteriormente la capacità di guardare “oltre” (non ho scritto “altrove”).
“Oltre” significa pensare (o ripensare) il nostro modello di sviluppo. “Oltre” significa qualificare ulteriormente l’intervento pubblico, necessario ed irrinunciabile, permettendo che vi sia spazio per imprese e nuove professionalità in grado di integrare la presenza e il ruolo delle istituzioni. Se ciò non avvenisse, in una prospettiva di medio periodo, dovremmo davvero considerare “cattedrali nel deserto” i nostri grandi musei e i nostri straordinari centri di ricerca. È obbligatorio dare respiro e concretezza a questo cambiamento di prospettiva. Il Trentino post 2013 sarà costretto, visto il calo di risorse, ad investire in modo diverso. Tantissime scelte andranno riviste ed è chiaro che serviranno strumenti nuovi e approcci diversi.
Queste criticità, insieme alla consapevolezza della posta in gioco, non deve però tradursi in un arretramento del Trentino o nella sua rinuncia ad essere “laboratorio” avanzato di sperimentazioni. Abbiamo, rispetto ad altri territori, grandi potenzialità proprio perché la nostra filiera della formazione, che va dalle scuole d’infanzia all’università, è di altissima qualità (e va “rimotivata”). Proprio perché vi sono importanti presidi che mantengono standard elevati di diffusione della cultura (si pensi alla nostra invidiabile rete delle biblioteche). Proprio perché si è investito molto in ricerca e in cultura, e i risultati si possono vedere proiettati sul futuro.