L’ “agenda Mazzalai”, i punti che il presidente di Confindustria Trento sottopone ai candidati per le provinciali di fine ottobre, ha incontrato l’apprezzamento dei tre principali candidati Ugo Rossi , Diego Mosna e Giacomo Bezzi, ma si tratta di temi non estranei alla recente storia trentina. E Alessandro Olivi, assessore all’industria, rilancia sfidando le categorie a modificare il proprio rapporto con la politica. G. Lott, "Trentino", 3 settembre 2013
Assessore, condivide i punti su cui Mazzalai vuole impegnare chi si candida a guidare la Provincia? Sono argomenti condivisibili, arrivano da un mondo, quello delle imprese, che ha dovuto fare i conti con una crisi devastante e che ora è chiamato a ristrutturarsi. Però non partiamo da zero. In questi ultimi anni, anzi, il rapporto tra politica e imprese è cresciuto, attraverso nuove politiche di sostegno alle aziende. Solo nell’ultima seduta abbiamo approvato, su richiesta degli industriali, un provvedimento unico in Italia che prevede, attraverso fondi combinati tra Provincia e Consorzi di garanzia, anticipi di finanziamento a aziende in difficoltà. É evidente che per Mazzalai ciò che è stato fatto non basta. Le elezioni di ottobre eleggeranno un pezzo della classe dirigente, che è però formata non solo dai politici, ma anche dai corpi intermedi e dalle parti sociali. Non è solo la giunta provinciale a rivestire la responsabilità di guidare la Provincia. Gli altri “pezzi” di classe dirigente devono sentirsi parte del governo, e scrivere assieme alla Provincia un patto. Serve corresponsabilità. Cioè un’ “agenda” da costruire con le parti sociali? Sì. É vero che non bastano più i ritocchi, che le riforme hanno effetto solo quando non sono operazioni di maquillage, e che siamo stati a volte anche troppo prudenti.La pubblica amministrazione costruisce le regole ma vede l’imprenditore come un tendenziale trasgressore. Va invertita questa impostazione, chiamando le imprese ad assumersi la responsabilità di garantire l’osservanza delle regole entrando nel processo attuativo. Cioè come? Attraverso un sistema di autocertificazioni che trasformi il controllo da “freno” a “impulso”. E garantendo severità con chi sgarra. In questo sistema le imprese devono sentirsi parte integrante, non controparte. É la prima di quattro leve sulle quali bisogna agire. Le altre tre sarebbero? Una è la finanza: se non si allentano i vincoli di fiducia da parte del mondo finanziario, non usciremo dalla crisi. Non bisogna limitare le articolazioni della finanza a ruoli autoreferenziali e speculativi, ma estenderle a chi produce ricchezza e posti di lavoro. Ne mancano due. La fiscalità: vanno abbassate le tasse ai lavoratori e alle imprese, non ai patrimoni, o perderemmo competitività. Vanno agevolate le aziende che sottoscrivono accordi sulla produttività. E infine l’energia: in Italia costa dal 30% al 40% in più rispetto agli altri paesi industrializzati. É un gap competitivo che pesa soprattutto sulle piccole imprese, che hanno meno potere contrattuale. Avere conquistato titolarità a produrre energia può trasformarsi un fattore di produttività. Ma i produttori di devono provare ad abbassare il costo dell’energia per favorire l’impresa. E il calo delle risorse? Avere meno soldi è il frutto di governi che hanno saccheggiato l’autonomia dal punto di vista finanziario. Prima Berlusconi, poi Monti, ora Letta. La battaglia va fatta per avere regole più eque, basate sul merito dei territori. Certo, la spesa pubblica va qualificata, efficientata, orientata, anche con partnership con il privato, dove è possibile. Per anni la politica ha detto sì a tutti, ipertoffizzandosi. La politica è dappertutto. La vera riforma è iniziare a dire dove la politica non deve più stare.
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