«Obbligati a salvare le larghe intese»

«Allo stato attuale c'è un'unica prospettiva di stabilità: portare a termine le riforme istituzionali e andare al voto nel 2015, con un nuovo sistema. L'alternativa sarebbero, in ogni caso, scenari di maggiore incertezza». Il senatore Giorgio Tonini  (Pd) avvisa i colleghi del Pdl che lanciano ai democratici un ultimatum sul governo, in vista del voto di settembre su decadenza e incandidabilità di Berlusconi dopo la condanna definitiva per frode fiscale.
Z. Sovilla, "L'Adige", 21 agosto 2013


«Non si illudano - dice il parlamentare eletto in Valsugana - che una crisi conduca automaticamente al voto anticipato. Sanno bene che per far cadere il governo basta un attimo, ma poi toccherebbe al presidente della Repubblica gestire la nuova situazione e, come noto, Napolitano è assolutamente contrario a una simile evenienza, che nei giorni scorsi ha definito "fatale" per il Paese». 
Eppure la turbolenza aumenta, insieme peraltro a nuove pressioni, rivolte anche al Colle, sulla cosiddetta «agibilità» politica di Berlusconi, malgrado la sentenza. «Non so dire come si muoverà il Pdl nei prossimi giorni. In ogni caso, è chiaro che quando c'è una crisi si sa come vi si entra ma non dove si finisce». 
In questi giorni si parla anche di eventuali maggioranze alternative e di possibili transfughi Pdl al Senato. «Non posso avventurarmi in previsioni sui futuri equilibri interni del partito di Berlusconi; di certo per il capo dello Stato non esistono subordinate al goveno di larghe intese prospettato quando, tre mesi fa, quando alcuni politici sono saliti al Quirinale per implorare in ginocchio un irrituale rinnovo del settennato. Napolitano ha accettato ponendo condizioni precise e se oggi gli stessi politici andassero a chiedergli di sciogliere le Camere, credo davvero che potrebbe succedere di tutto, comprese le dimissioni del presidente della Repubblica. Dunque, la strada maestra è portare avanti questa esperienza di governo». 
E come si supera lo scoglio in giunta per le elezioni? «Rimanendo nell'ambito ristretto del diritto, senza sovraccaricare di peso politico questo passaggio. Vale per noi e per loro. L'aspetto fondamentale è tecnico e va affrontato con estremo equilibrio, consentendo alla difesa di Berlusconi tutto il tempo necessario a esporre le sue tesi, anche fosse qualche settimana. Però il Pdl non può chiederci iniziative politiche per agevolare il suo leader: il Senato, in sostanza, è chiamato a una presa d'atto e non mi risultano fondate le obiezioni interpretative sollevate da alcuni. D'altra parte, in questi mesi il Pdl si è vantato spesso delle doti di Berlusconi come statista capace di tenere separate le vicende personali e il bene del Paese: ora c'è l'occasione di dimostrarlo accettando il voto del Senato senza minare il governo». 
In questo scenario incerto c'è anche il nodo irrisolto della legge elettorale. Molti propongono, intanto, il ritorno a quella precedente, il «Mattarellum»: è immaginabile che su questo punto si formi una maggioranza in Parlamento tra Pd e M5S? O i rischi di ripercussioni sul governo sbarrano anche questa strada? «Io sono un caloroso sostenitore del "Mattarellum" e del collegio uninominale, tuttavia oggi non vedo una simile maggioranza in Parlamento e lo stesso movimento 5 Stelle è ancora incerto sul tema, anche se qualche loro esponente si è espresso in questo senso. Dunque, mi pare una via molto ardua, a prescindere dalle valutazioni sugli effetti collaterali nella coalizione». 
Dunque, dove si andrà a parare? «Premesso che lo stesso "Mattarellum" non è mai stato messo alla prova in un quadro tripolare come quello attuale, gli scenari più probabili, oggi, mi sembrano altri due. Il primo, sostenuto dal Pdl e non escluso da figure eminenti del Pd, è una riforma costituzionale semipresidenzialista sul modello francese con sistema elettorale uninominale a doppio turno. Il secondo, che piace al Pd, è un percorso di revisione istituzionale che da un lato rafforzi il premier e dall'altro introduca un sistema elettorale con soglia del premio di maggioranza alzata al 40-45% (altrimenti, ballottaggio fra le prime due coalizioni) e circoscrizioni più piccole. In entrambi i casi, si tratterebbe di tenere duro un anno e mezzo nella collaborazione difficile e innaturale fra Pd e Pdl, per completare le riforme evitando così il rischio di ritrovarci anche al prossimo voto le larghe intese come unica via di uscita. D'altro canto, anticipare la sola riforma della legge elettorale sarebbe un chiaro segnale di difficoltà per il governo». 
In proposito, il movimento 5 Stelle annuncia iniziative politiche «forti» per settembre: lei, a sei mesi dal voto, come valuta l'evoluzione parlamentare di questa nuova presenza? «È divergente rispetto alle prese di posizione, talvolta brusche, regressive o inquietanti, che arrivano dall'esterno. Nella loro rappresentanza parlamentare, infatti, ho notato un interessante percorso di maturazione, accanto a una certa ingenuità data dall'inesperienza. Fanno opposizione, talora ricorrendo leggittimamente anche all'ostruzionismo, ma con modalità che personalmente apprezzo: in modo selettivo, sul merito dei provvedimenti, non per pregiudizio generalizzato. E non si vergognano di votare a favore di norme che invece condividono, anche se le propone il governo. Peraltro, registro un loro contributo collaborativo anche nella commissione Esteri, di cui faccio parte».