C’è chi vorrebbe dimissioni vere dei vertici, «almeno per dare un segnale dopo la sconfitta alle primarie», e chi invoca il time out, «niente processi ora che ci sono le elezioni da vincere, rimandiamo tutto al congresso». Il Pd trentino si dibatte tra queste due visioni, con convergenze e divergenze inedite: per dire, due esponenti come il sindaco di Trento Alessandro Andreatta e il senatore Giorgio Tonini, che di solito viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda, la pensano diversamente.
C. Bert, "Trentino", 19 luglio 2013
Il primo ritiene che dare un segnale di cambiamento sarebbe opportuno, e ha tracciato un identikit di segretario che poco si sposa con Michele Nicoletti. Il secondo ha invocato di rimandare la resa dei conti a dopo le provinciali. Tra chi auspica un cambio al vertice, ci si interroga se sia meglio un segretario unico traghettatore o una troika che rappresenti le diverse anime del partito. Trovare un nome secco è impresa ardua di questi tempi, più facile individuare tre nomi, che sconterebbero però una minor forza rispetto alla base e soprattutto rischierebbero di indebolire il Pd al tavolo della coalizione nelle prossime settimane.
Tra i nomi di «garanzia» circolano quelli di Maurizio Agostini - già segretario nel 2009 dopo Pacher, uomo fuori dalle correnti, «un medico che tornerebbe al capezzale del malato Pd», commentava ieri qualcuno – ma anche quelli di Rino Sbop e Wanda Chiodi.
Nell’attesa di capire quale sarà la soluzione individuata da qui al 29 luglio (data di probabile convocazione dell’assemblea), è il presidente del consiglio provinciale Bruno Dorigatti a lanciare un appello: «Stare per due mesi a lacerarci sulle nostre questioni interne sarebbe la fine del Pd». «Attenti ai tagliatori di teste, non basta mandare via Nicoletti e Pinter. Se poi si trova l’accordo su un nuovo segretario, allora si faccia - incalza Dorigatti - ma deve essere fatto presto, in una sera, senza spaccare il partito. Io non ci sto a passare le prossime settimane a sfinirci sul cambio dei vertici. Anche se sono d’accordo che chi ha responsabilità rimetta il proprio mandato, è un atto di chiarezza».
«Dobbiamo essere consapevoli della partita che ci giochiamo il 27 ottobre, non possiamo sottovalutare i nostri avversari che giustamente si stanno organizzando e dobbiamo avere subito qualcuno che ci rappresenta al tavolo della coalizione nelle prossime settimane che saranno decisive.
Il Pd deve concentrarsi sul programma, deve ripartire dai suoi temi prima di tutto il lavoro». «Il momento del confronto interno sarà dopo le elezioni, al congresso, e lì il Partito democratico dovrà decidere se è un partito oppure un autobus dove si sale e si scende a seconda delle convenienze». «Siamo stati troppo autoreferenziali, con la puzza sotto il naso, e così abbiamo perso le primarie - prosegue Dorigatti - adesso è il momento di reagire, di rafforzare i rapporti con i nostri iscritti e con l’Upt». «Tenere la coalizione - avverte - dev’essere un impegno anche del Pd, anche se nella nostra base c’è chi ci dice che non voterà mai per Rossi presidente». Altra questione cruciale sarà, per il presidente del consiglio, la composizione della lista dei Democratici: «Serve una lista forte che guardi a sinistra».