L'attuale dibattito, intorno alle norme finalizzate a incrementare la presenza delle donne nelle assemblee elettive, è caratterizzato da un insieme di interrogativi che cerchiamo di mettere in fila e a cui proviamo a dare risposte.
Margherita Cogo e Sara Ferrari, "Trentino", 6 luglio 2013
Con una premessa, per sgombrare il campo da un equivoco di fondo sostenuto da chi si oppone alle quote e cioè che le donne non sarebbero interessate alla politica e quindi è poco sensato insistere con norme antidiscriminatorie. In realtà non tutti debbono essere ugualmente affascinati dal processo politico: l'interesse per la politica non si distribuisce in modo uniforme, così come l'interesse per lo sport o per altre attività.
Ma quando la distribuzione coincide perfettamente con la divisione per classe, genere o appartenenza etnica, la partecipazione è per definizione ineguale. Nella realtà esiste una «zeppa» che impedisce alle donne di esserci e, quindi, quando ci si riferisce alla carriera politica non si può pensare che il merito sia l'unico discrimine e non valgono le affermazioni di alcune donne di successo che affermano che sia sufficiente essere brave. Seppur in crescita, la scarsa presenza di donne in tutti i luoghi decisionali della nostra società, tranne quelli in cui si entra per concorso, cioè per merito, le priva anche di quella visibilità pubblica necessaria alla riconoscibilità di autorevolezza e rappresentatività.
Ci si chiede se una quota garantita per le donne nel sistema della rappresentanza politica, in cui risultano tanto sottorappresentate da sembrare escluse, sia una misura che giova alla causa delle donne e alla democrazia. La lontananza delle donne dal potere rappresenta il sintomo evidente di un più vasto e profondo male: il distacco delle istituzioni dal corpo sociale. Da troppo tempo si parla della contrapposizione tra paese legale e paese reale, tanto che il tema non ha più presa.
Ma riguardo alla popolazione femminile assume un'evidenza diversa. La sproporzione è troppo appariscente per potere essere taciuta e non più imputabile a un divario culturale. Un tempo, la tradizione voleva le donne in casa e le norme sottraevano loro la disponibilità e la gestione del proprio patrimonio. Ora non è più così e dunque la causa principale della esigua presenza del genere femminile in politica è un'altra ed è banalissima: all'ingresso nelle istituzioni di un determinato numero di donne deve corrispondere l'espulsione di un corrispondente numero di uomini.
Da ciò consegue che le assemblee elettive, formate in stragrande maggioranza da uomini, impediscono l'approvazione di norme tali da consentire un riequilibrio della rappresentanza. Inoltre, che la presenza paritaria di donne e uomini faccia bene alla democrazia lo sostengono tutte le istituzioni europee: “La democrazia costituisce un valore fondamentale dell’Ue. Per potersi realizzare pienamente richiede la piena partecipazione e la rappresentanza equilibrata di tutti i cittadini, uomini e donne, al processo decisionale e alla vita economica, sociale, culturale e civile”(Comunicazione della Commissione delle Comunità Europee al Consiglio e al Parlamento Europeo).
Inoltre, se la presenza delle donne giovi alle donne stesse implica un altro interrogativo: esiste un interesse femminile? L'ipotesi di un interesse femminile chiaramente definito, valido per tutte le donne di ogni classe sociale e ogni paese, è stata una delle prime vittime della recente critica femminista, e la messa in luce di svariate differenze tra le donne ha indebolito le interpretazioni più globali dei loro problemi e interessi.
E quindi se non esiste un interesse femminile condiviso e riconosciuto, che importanza ha che i rappresentanti siano in maggioranza uomini?
E ancora: l’elezione di più donne garantisce la rappresentanza delle donne? A livello intuitivo, un aumento del numero di donne elette dovrebbe cambiare le pratiche e le priorità della politica e questa intuizione è già parzialmente confermata dall'esperienza di quei paesi che hanno modificato la composizione del genere delle loro assemblee elettive. Ma che cosa significa questo in termini di rappresentanza politica? In assenza di meccanismi che definiscono la responsabilità degli eletti, l'equazione “Più donne uguale a rappresentanza più adeguata degli interessi delle donne” suona ambigua e poco democratica.
E dunque, come fanno le donne elette a sapere cosa vogliono le donne che le hanno elette? La risposta è strettamente correlata alla qualità della democrazia rappresentativa e alla responsabilità nei confronti dell'elettorato, che non è uno specifico esclusivamente femminile. Inoltre, a fronte della non esistenza di un partito delle donne o di programmi portatori di interessi esclusivamente ascrivibili alle donne è molto importante la qualità della rappresentanza ed ancora più importante è il principio di accountability. Infine, siamo convinte che la presenza paritaria di donne e uomini, costituendo una novità, porterebbe sicuramente ad innovare processi e programmi.