La cooperazione in tempo di crisi

La cooperazione nasce come reazione e riscatto delle fasce più deboli al rischio di emarginazione e prostrazione sociale.
E’ innanzitutto la storia che sta lì a ricordarcelo.
A. Olivi, "L'Adige", 18 maggio 2013

Dall’affermarsi della Rivoluzione Industriale e dalla contemporanea emarginazione delle aree rurali periferiche inglesi i socialisti utopisti alla Robert Owen nella prima metà dell’800 individuano nell’operare insieme (“cum operare”) la miglior risposta al mercantilismo spersonalizzante e la più efficace forma per affermare la propria dignità contro la mercificazione imperante del lavoro e dell’essere umano.

I sani valori della solidarietà e dello spirito associativo sono stati in seguito adottati, nel pieno degrado dell’area urbana industriale di Rochdale, dai proletari che costituiscono la Society of Equity, una cooperativa di consumo che assicurava ai soci una equa redistribuzione dei beni e che li affrancava dall’essere meri consumatori e generatori di reddito.

Loro il decalogo che fissa i principi guida del vero cooperatore.

In un’area rurale renana l’abolizione della servitù crea i dipendenti dal capitale che soccombono ai vincoli efferati del credito ad usura, finchè un laico protestante, Wilhelm Friedrich Raiffeisen, inventa le casse agrarie a garanzia illimitata che agiscono da mutuo soccorso fra i soci.

In un’area della nostra pianura reggiana, dove la maggioranza del popolo lavorava a mezzadria o nel bracciantato, il riformista, Camillo Prampolini professa la cooperazione definendola “il socialismo messo in pratica”.

Ed arrivando a noi nel Trentino prostrato dai contraccolpi del crack finanziario della borsa di Vienna del “venerdì nero” del 1873 e dall’eterna ondata deflazionistica che gonfia le sacche della disoccupazione, regolate solo dall’unica valvola di sfogo dell’emigrazione di massa, religiosi illuminati come don Silvio Lorenzoni e don Lorenzo Guetti intravedono nel sistema cooperativo, Famiglie Cooperative e Casse Rurali Federate la risposta per contrastare l’emorragia di valligiani, la dilagante crisi del lavoro e le conseguenti ferite sociali e morali.

La logorante crisi che sta fiaccando il tessuto economico del nostro Paese nasce dal fallimento della finanziarizzazione dell’economia.

Un’economia finanziaria gonfiata a dismisura che per anni mirava a produrre denaro dal denaro attraverso spericolate speculazioni sottraendo risorse al mondo del lavoro, producendo instabilità sociale e favorendo i pochi signori della finanza.

Di fronte al disastro anche sociale della finanza speculativa occorre ritornare all’economia reale, cioè alla produzione di ricchezza per mezzo non di ricchezza ma di lavoro.

L’economia mondializzata ossia omologata agli standard produttivi delle grandi imprese, la grande distribuzione al loro servizio, la pubblicità che orienta i consumi e crea stili di vita uniformi produce come dice  Gustavo Zagrebelsky un’umanità funzionalizzata ossia ugualizzata nei medesimi bisogni e nelle medesime aspirazioni: in una parola confluisce in una medesima cultura.

Abbiamo in realtà bisogno di recuperare non la finta virtù del conformismo ma l’originale ricerca di un modello di sviluppo che si fondi su nuove forme di produzione e soprattutto di collaborazione tra produttori su nuove reti di collegamento solidale tra i produttori medesimi, su nuove modalità di distribuzione e di consumo.

E’ su questo terreno a mio avviso che si gioca il ruolo futuro di una cooperazione moderna e riformatrice.

Se è vero quanto dichiarato dal Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon che “le cooperative ricordano alla comunità internazionale che è possibile perseguire allo stesso tempo sia la redditività economica sia la responsabilità sociale” i valori della cooperazione debbono ispirare e temprare una nuova stagione dell’economia dove tradizione ed innovazione convivono, impresa e comunità si fondono, i mezzi finanziari servono a far emergere il merito e i buoni talenti.

In Trentino la cooperazione ha saputo tenere ben saldo il proprio patrimonio identitario evidenziandosi come sistema diffuso che ha garantito coesione e risposte concretamente solidali alle emergenze della crisi.

Ora è certo che anche per il sistema cooperativo trentino inizia un tempo nuovo.

Questo modello di fare impresa è infatti preso a tenaglia fra la crescente affermazione delle logiche omologanti dell’economia globale e la crescente debolezza dell’intelaiatura socio-economica dei sistemi locali. Per non rimanervi soffocato, il movimento deve dunque riscoprire il proprio connotato distintivo, quel suo essere la «terza via» fra capitale e lavoro, in grado anche nelle economie avanzate di generare partecipazione ed efficienza.

La nostra comunità ha in effetti bisogno di ritrovare un percorso di sviluppo fondato sull’equità e sulla sostenibilità, che sappia coniugare il profitto con la responsabilità sociale, generando rapporti di fiducia tra i cittadini.

La «terza via» sprigiona però i propri effetti benefici se rimane tale, senza sbilanciarsi verso le prime due: se non si adagia, da un lato, sulla mera prestazione lavorativa, come se il socio fosse un «semplice» dipendente, dal quale non si pretendono la creatività e l’intraprendenza che sono invece linfa vitale dell’attività d’impresa; e se non rincorre, dall’altro, il capitalismo più speculativo, con il suo corredo di spregiudicate avventure immobiliari e finanziarie.

Tenere la barra diritta sulla «terza via» significa invece scomporre i fattori produttivi per generare nuova energia propulsiva, in grado di rispondere alla domanda di alleanza solidale che si leva dal tessuto sociale, e allo stesso tempo non perdere di vista gli equilibri di bilancio, né il compito primario di produrre ricchezza, per ridistribuirla in modo sempre più diffuso; significa calarsi contemporaneamente nei panni del lavoratore e dell’imprenditore, senza identificarsi in uno escludendo l’altro; significa appartenere a un sistema che si è cimentato da sempre con il progresso, scoprendo di saper esprimere ottime competenze in tutti i campi, pure in quelli più tecnologici, senza mai perdere di vista la centralità della persona umana.

In altre parole, la logorante crisi che è sotto gli occhi di tutti, figlia del fallimento della finanziarizzazione dell’economia, offre alla cooperazione l’opportunità di riscoprire se stessa: coesione di tutte le forze, identificazione con gli obiettivi d’impresa, radicamento nei territori e sviluppo di solide reti sociali, sovrapporsi degli obiettivi di competitività (dimensione collettiva) con la salvaguardia del lavoro e del reddito (dimensione individuale), condivisione di un chiaro orizzonte valoriale (mutualità e solidarietà), cioè un modello economico non nuovo ma rigenerato, capace di riprodurre i valori di fiducia, reciprocità, equità e democrazia, che rappresentano la condizione permissiva di un armonico sviluppo della società del terzo millennio.