Pacher: serve un giudizio su questi 15 anni, perché non esiste un anno zero in politica. «C’è chi fatica a distinguere le idiosincrasie dai risultati politici. Le primarie non possono essere un congresso».L. Patruno, "L'Adige", 16 maggio 2013
Dieci giorni fa uno sconfortato Alberto Pacher aveva detto di non poter più fare politica in questo Pd, confermando la volontà di ritirarsi al termine dei prossimi 5 mesi da presidente reggente della Provincia. Sembrava non volesse più saperne delle sorti del partito e della coalizione, che ha contribuito a costruire in questi anni, perché il risultato non è stato quello che sperava.Ma il dibattito che si è sviluppato negli ultimi giorni, su scenari drammatici per il bilancio della Provincia dei prossimi anni, destinato a drastiche riduzioni, rendendo necessario - secondo alcuni - l'affidarsi a «grandi coalizioni»; e poi la presa di posizione del consigliere provinciale Mattia Civico (Pd), che ha parlato dell'esigenza di una discontinuità rispetto a una gestione distorta del potere, ha indotto Pacher a tornare a dire la sua, sia come presidente della Provincia, che come leader politico, che dalla scena forse uscirà, ma non è ancora uscito. Presidente Pacher, il centrosinistra autonomista si barcamena con difficoltà tra la ricerca di una candidatura unitaria e la scelta affidata alle primarie. Lei continua a chiamarsi fuori? Sì, l'ho detto e lo ripeto. Io penso che la coalizione debba fare un percorso che non ha ancora fatto. Poi vediamo come vanno le cose. Cosa è mancato fino ad ora? Penso che aiuterebbe molto se il centrosinistra autonomista, che ha governato in questi anni, non avesse una certa ritrosia a riconoscere il percorso che ha fatto, le cose che sono state fatte. Lei chiama "ritrosia" le critiche di chi come il consigliere Civico ha parlato di distorsione del potere? O Zeni che punta il dito sull'indebitamento del Gruppo Provincia? Beh, può sembrare un linguaggio da educanda. Ma io parto da un dato emblematico: il Trentino ha introdotto il reddito di cittadinanza nel 2009. Ma è possibile che ora che è nei programmi del Pd nazionale e di Grillo, politicamente la nostra coalizione non abbia avuto la forza di rivendicarlo a voce alta? Per questo dico che serve una coalizione che abbia sempre più una sua soggettività politica e coesione per affrontare il futuro. In questi anni forse ha faticato a strutturarsi soprattutto per la presenza di una forte personalità alla guida della Provincia. Ma ovviamente le cose cambiano ogni volta che c'è un avvicendamento, perché ogni presidente ha il suo stile e modo di interpretare il ruolo. I problemi nel Pd, secondo lei, nascono dalla difficoltà di distinguere i risultati dal fatto che a conseguirli fossero Dellai e Pacher? In una parte del Pd, non trascurabile, è molto forte la difficoltà a riconoscere un percorso fatto perché si fa fatica a distinguere la dimensione relazionale, che c'è stata in questi anni, con gli effetti e i risultati politici. Quindi le idiosincrasie, che ci possono essere state e che fanno parte del menù della politica, hanno reso difficile riconoscere quanto fatto. Si può benissimo criticare perché gli errori ci sono stati, ma non si può pensare di tirare una riga e cominciare come fosse l'anno zero, perché non esiste un anno zero in politica. Ma al di là delle cose fatte, nel Pd viene sollevata da Civico, Zeni, Borgonovo Re e altri la questione su come si è gestito il potere nell'«era dellaiana». È per questo che dico che il Pd dovrebbe chiarirsi su questo e dirsi: che lettura diamo degli ultimi 15 anni? Se c'è una differenza così profonda sulla lettura non solo del passato ma anche del futuro, allora il Pd deve chiarirsi al suo interno e non lo ha ancora fatto. Ma serve un giudizio sulla sostanza delle cose e gli obiettivi raggiunti, non sullo stile Dellai, sul quale ognuno ha la sua opinione, perché Dellai non c'è più, quella è un'epoca finita. Ma per qualcuno Pacher è come avere ancora Dellai. A prescindere dal fatto che il tema non si pone, tutto mi si può dire fuorché che io sia un accentratore, autoritario e decisionista. È palesemente incongruo. Come fanno il Pd e la coalizione a chiarirsi? Con le primarie? Il tema non è trovare nuove forme di rapporto diretto tra le leadership e i cittadini. Sono le forze politiche della coalizione, soprattutto il Pd, che devono esercitare il loro ruolo di soggetto politico. Le primarie per il presidente non possono essere un congresso. È nel partito che si deve riuscire a parlarsi e scegliere la linea con la quale poi confrontarsi con la coalizione. L'impatto dal 2018 sul bilancio della Provincia del venire meno di mezzo miliardo di trasferimenti arretrati dallo Stato obbligherà a scelte drastiche che non avete fatto fin'ora? L'idea che i prossimi 5 anni siano una sorta di percorso di guerra che si conclude nel 2018 con l'esaurimento dei 500 milioni di arretrati dello Stato non corrisponde alla realtà. Non siamo davanti a una situazione d'emergenza o a una tragedia incombente, perché la nostra coalizione sa o dovrebbe sapere che negli ultimi anni si è lavorato per ridurre l'impatto di questa mancanza di risorse a circa 100 milioni. La Consulta ci ha riconosciuto la riserva all'erario (140 milioni dal 2011) e poi con il piano di miglioramento della spesa pubblica recuperiamo 230 milioni (a regime nel 2017). Ma il calo di risorse lo potremo fronteggiare solo se ci sarà un patto tra tutto il sistema provinciale e territoriale: ci vuole più partecipazione e corresponsabilizzazione dei soggetti esterni; meno politica e più territorio, perché le risorse su cui la Provincia potrà contare saranno solo quelle prodotte in Trentino e tutti devono farsene carico. Per cui ci vuole maggiore capacità di collaborazione di credito, categorie e soggetti economici. Non varrà più la logica bilaterale categoria-Provincia, con le categorie che sono spesso l'una contro l'altra. Questa sarà la vera sfida.
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