Caro Direttore, accolgo volentieri l'invito di Francesco Pisanu ad intervenire sulla politica culturale del Trentino. E' un tema rilevante, perchè non riguarda solo gli "uffici competenti", non è solo spettacoli e studi autocontemplativi, come dice giustamente l'editorialista, né può ridursi al mero calendario delle iniziative proposte. Essa ha invece rilevanti implicazioni nell'innovazione della politica in generale, la generazione di nuovo lavoro, il miglioramento e l'attrattività del sistema trentino, il benessere sociale e umano delle persone.Luca Zeni, "Trentino", 9 maggio 2013
Per chiarezza, procederò per punti, rispondendo indirettamente alle specifiche questioni poste da Pisanu. 1. Il punto da cui voglio partire è che la politica culturale va considerata un fattore di sviluppo economico e non semplicemente un costo da tagliare nei momenti di necessità. Genera occupazione, nuovi servizi e prodotti, una nuova effervescenza sociale. A livello internazionale, si può rilevare una stretta correlazione tra aumento del PIL e dote di capitale umano, specialmente per quanto riguarda il livello d’istruzione, e tra investimenti nell’industria culturale, nella ricerca, nella formazione, e generale crescita della società. Oggi viviamo nell’economia della conoscenza, e tutta l’economia non può prescindere dalla cultura. Secondo le previsioni, nel 2040 ci saranno nel mondo almeno due miliardi di laureati, che formeranno un “ambiente cognitivo” completamente nuovo. Questo è il primo dato globale da considerare, anche dalla prospettiva della nostra comunità, se non vogliamo rischiare di chiuderci in noi stessi. Da questo punto di vista, la politica culturale s’identifica con la politica della conoscenza, è il punto di vista del futuro, e per molti Paesi già oggi costituisce il fattore del loro successo. 2. In Italia non è così, e anche il Trentino mostra segni di ritardo. Si è affermato nel Paese un modello di sviluppo senza conoscenza, con tagli drammatici all’università, agli investimenti culturali, alla ricerca. Non abbiamo investito nei settori ad alto livello aggiunto “di pensiero” e ad alta tecnologia, e la crisi del manifatturiero ne è una prova. Di cultura non si mangia, diceva Tremonti, ed invece con la cultura si mangia eccome, se si presta attenzione agli sviluppi del sistema economico-produttivo mondiale. Obama ha affermato che “per reagire alla crisi economica, oggi è il momento giusto per investire in cultura molto più di quanto non si sia mai fatto”, e l’economista premio Nobel Krugman ha risposto che questo tipo di società va però costruita, e che occorre la volontà politica. 3. Noi dobbiamo assumere questa decisa volontà politica. Questa è l’autentica innovazione da perseguire. Lo “Stato trentino”, deve porsi come fattore di una vera trasformazione, promuovendo - per innovare la società, l’economia, il lavoro - una nuova “politica della cultura e della conoscenza”. Questo significa non solo sviluppare l’industria culturale propriamente detta, ma anche la ricerca, la formazione e l’istruzione (per una scuola dove riprenda quota la cultura scientifica ma anche quella cosiddetta umanistica, che ha quasi dimenticato musica, arte, teatro). 4. La Provincia deve certamente tagliare, come suggerisce Pisanu, là dove la politica culturale è intesa come sostegno generalizzato alle feste di paese, e concepisce il finanziamento come mera ricerca del consenso. La cultura non è sovvenzione, non è politiche sociali anche se iniziative culturali di elevato valore educativo e sociale si devono sostenere indipendentemente dalla loro redditività. Al di là di questi casi specifici, le iniziative culturali solitamente intese –come tutte le altre attività- devono sottostare a piani strategici sostenibili, devono potersi integrare con altre strategie industriali (turismo, commercio), devono valutare i ritorni economici e l’impatto sulla collettività. Curare la marginalità, la razionalizzazione e la classificazione della spesa. Integrare la cultura locale con un respiro superiore e l’attrattività delle iniziative, ovvero il posizionamento del territorio con i flussi che si vogliono intercettare, infine curare i costi di struttura, semplificare l’apparato e non disperdere in mille rivoli gli uffici preposti. 5. Solo l’Amministrazione pubblica, che deve pensare in modo lungimirante e a lungo termine, può fare questo “investimento anticiclico”, perché l’unico modo per uscire dalla crisi è scommettere su una speranza di futuro, ma anche pensare in termini progettuali. Il problema non è ‘dove si trovano i soldi’, ma quale nuovo mondo si può generare (economico, sociale, produttivo ed “inventivo”), non quali risorse sono necessarie ma quali nuove risorse si creano. 6. Cosa fare, dunque? Non abbiamo lo spazio per approfondire (a proposito, caro Direttore e caro Pisanu, perché non organizziamo con il vostro giornale un dibattito nella sede di Start su questo importante tema?), ma qualche spunto voglio offrirlo: Primo, è giustissimo il richiamo alla competenza. La politica deve guidare con la sua visione, ma occorre mobilitare persone con solida cultura scientifica e progettuale. “Tecnici di programma”, li possiamo chiamare. In Trentino ci sono molte risorse a disposizione, basta individuarle con criteri di merito. Ma possono venire anche da fuori, se concorrono a migliorare davvero il nostro territorio, e non solo a fare una performance da star. Non esterofilia, quindi, ma al contrario l’assimilazione delle migliori intelligenze per far crescere il Trentino. Un Trentino che possa esportare ma anche attrarre. Occorre poi creare un ambiente adatto all’innovazione, un habitat che stimoli il libero sviluppo della creatività, dando forma a quello che il mondo contemporaneo ci chiede. Catturare questo presente di passaggio per renderlo operante nel futuro. Anche riducendo l’eccessiva burocrazia, presente quando occorra provvedere a un restauro ma anche semplicemente per organizzare una festa in piazza. Generare quindi un nuovo sistema di produzione e servizi ad alto tasso di conoscenza aggiunta. Questa è economia reale, fondata sulle idee, sulla creatività e sull’immaginario della conoscenza, non sulla finanza creativa. Valorizzare le risorse umane, i giovani laureati, i ricercatori, quelle energie dal basso, che oggi sono disperse. Allo stesso tempo incoraggiare i nuovi imprenditori, le nuove vocazioni e le nuove sfide, il tutto a favore di quella “classe creativa”, di cui ha parlato l’americano Richard Florida. Concentrare l’attenzione sui settori principali che chiedono sviluppo ideativo: l’energia e le fonti rinnovabili, la tutela del territorio e dei beni culturali, l’industria culturale nei suoi mille rivoli (artigianato, design, nuovi media..). Aumentare i compiti dell’Agenzia del lavoro, che incoraggi e sostenga la crescita del lavoro conoscitivo, ideativo, creativo. Che agevoli i futuri Knowledge and creative workers, gli operatori della conoscenza e della creatività (e ce ne sono tanti in giro). Oggi si parla molto dei beni comuni. Sono convinto che la politica culturale sviluppi anche il bene comune del sapere, non solo il valore economico dell’utilità. Auspico un Trentino in cui l’istruzione favorisca la mobilità e l’ascesa sociale, spezzi i vantaggi semplicemente ereditati, contribuisca allo sviluppo della trasparenza e dell’informazione, permettendo alle persone di controllare il ruolo dei politici, offra riferimenti culturali al passo coi tempi e infine realizzi un’autentica autonomia, che non sia ossessione identitaria, ma strumento di realizzazione della dignità della persona.
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