Nel suo partito, il Pd, è l’unica ad averlo detto in modo esplicito: «Mi candido a presidente della Provincia». Gli altri, da Zeni e Olivi (uomini, sarà un caso?), sono restati più coperti, chi più chi meno, in attesa degli eventi. Invece Donata Borgonovo Re, 56 anni, docente di diritto pubblico all’Università di Trento, ex difensore civico, lo ha annunciato da mesi. E oggi incalza il Pd: «C’è paura che il dissenso significhi rottura. Non è così, e le primarie responsabilizzano i cittadini». C. Bert, "Trentino", 5 maggio 2013
La domanda è del tutto comprensibile. Nel 2009 avevo detto che mi sarei candidata a sindaco, poi sono sparita per motivi personali. Dopo sono stata eletta nell’assemblea provinciale del Pd con 854 voti, ma dopo tre mesi mi sono dimessa. Capisco chi oggi si chiede “Questa cosa vuole?”. Il motivo per cui mi sono ritirata è che ho incontrato una fiera opposizione in famiglia. Dopodiché ho ripreso il mio lavoro di formazione, all’ università e sul territorio, e c’è stata un’occasione in particolare, con Lucia Fronza Crepaz, che mi ha costretta a ripensare alla voglia di impegnarmi. Questa consapevolezza è maturata anche nella mia famiglia e il diniego è caduto. E gli incontri di questi mesi mi hanno confermato che posso essere utile. Sento una responsabilità. Pensa di avere la competenza necessaria per un ruolo così impegnativo? Quando la scorsa estate parlai dell’idea che stavo maturando con il mio segretario (Michele Nicoletti, ndr), lui tornò da me dopo qualche mese di confronti: benissimo se tu entri in squadra, ma l’obiezione che ti candidi alla presidenza è che non sei competente. Ora io dico: potete dirmi che non piaccio, ma non ponetemi questo falso problema. Ho fatto il difensore civico, l’assessore tecnico al Comune di Trento. Le qualità e l’esperienza si acquisiscono in vari modi e in vari campi, non sono una prerogativa di chi ha fatto percorsi tutti interni alle istituzioni. Il presidente della Provincia non è il “signor so tutto”, è un caposquadra, uno che ci mette la faccia. Sarebbe bello finalmente passare dalla monarchia alla Repubblica. Nel Pd e tra gli alleati in molti hanno cercato in questi giorni di convincere Pacher ad essere lui il candidato del centrosinistra. Perché lei la ritiene una debolezza? Penso che la coalizione viva la sindrome dell’orfano dopo la fine della leadership di Dellai. Senza alcun giudizio su Pacher, con cui ho condiviso anni di giunta in Comune, io osservo la realtà: è una persona che ha vissuto per almeno 15 anni un impegno importante nelle istituzioni. Ci ha detto da mesi, in modo rigoroso, che è indisponibile a proseguire. Lo consideravo un capitolo chiuso. Andare a pregarlo di restare è debole perché dentro un partito le persone sono importanti ma non indispensabili. Secondo molti Pacher ha posto anche un problema di linea politica al Pd, contestando un atteggiamento ostile di parte del gruppo consiliare verso la giunta. Non sta scritto da nessuna parte che i consiglieri di maggioranza svolgono una funzione diversa da quelli di opposizione. Mi pare ci sia la paura che se si discute e si esprime dissenso, poi si rompe. Si dice “abbiamo bisogno di un candidato che unisca”. Io dico: lo avremo, alla fine della discussione. Per questo servono le primarie. Lei sabato scorso ha detto che la coalizione “non è un mito a prescindere”. Non è un modo di rilanciare le tentazioni di autosufficienza del Pd? Il Pd non è e non vuole essere autosufficiente, se vogliamo governare dobbiamo farlo insieme agli altri. Per capire con chi, è necessario un confronto sui programmi, capire quali sono per il Pd i punti non negoziabili. Per esempio? Alla nostra conferenza programmatica è emersa con forza la richiesta di fermare ogni ulteriore consumo di territorio, si tratti di edifici, strade, impianti di risalita. Il Pd intende mettere su questo una forte opzione? Vede, io penso che Pacher rappresenti una garanzia trasversale, che tiene insieme senza scomporre. Sono certa che se rientrasse in gioco, il problema del programma sparirebbe. Ma qual è, tra lei, Zeni, Olivi, Pacher, la grande differenza nel programma? Direi che è una scelta tra due visioni: quella di chi preferisce gli aggiustamenti restando nel solco dell’azione di questi anni, e chi sceglie il cambiamento. Io sono per la seconda. Fino a oggi siamo stati in grado di governare reggendo le tante pressioni e assicurando a tutti una risposta. Di fronte a un calo drastico di risorse sul bilancio provinciale a cui andremo incontro, 1,3 miliardi, serve un patto sociale con i cittadini, una nuova dimensione di sobrietà. Non sono sicura che i trentini siano pronti ma chi ha governato l’ultima stagione temo non sia in grado di gestire la nuova. Le primarie servono a far scegliere i cittadini. Lei che tipo di primarie vorrebbe? Di partito o di coalizione? La soluzione perfetta non esiste. Penso che, considerati i tempi, la migliore siano primarie di coalizione a doppio turno, aperte alla partecipazione anche di più candidati per partito. Resto convinta che alle primarie gli elettori si mescolano, e possono preferire un candidato di un altro partito. Se le primarie non ci saranno, lei cosa farà? Si candiderà da esterna? No. Il mio è un percorso pensato e portato avanti dentro il Pd. Sono istintivamente molto critica verso le liste personali. La dimensione del partito è più faticosa ma è l’unica modalità che dà linfa alla democrazia. E chi sta in minoranza non se ne va, resta dentro questa dimensione collettiva. La sua candidatura viene considerata vicina a quella di Luca Zeni. C’è la possibilità che uno dei due faccia un passo indietro? Con Luca, che è stato mio studente, abbiamo molte cose in comune anche se non siamo sovrapponibili. Stiamo discutendo su quali passi fare e quali percorsi condividere. Capiremo insieme se sarà necessario semplificare il quadro delle proposte in campo.
Borgonovo Re, in tanti si chiedono: come si può svegliarsi una mattina e, mentre fino al giorno prima si stava facendo tutt’altro, dire “Vorrei fare il presidente della Provincia”?
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Partito Democratico del Trentino