Lavoro, ecco cosa abbiamo fatto

Passata da pochi giorni la Festa della Liberazione, celebriamo oggi il Primo Maggio in una fase difficile per l'Italia, una nazione nella quale il lavoro non sembra più essere un diritto concreto e il tessuto sociale sta subendo un tragico deterioramento: i tanti, troppi gesti eclatanti di disperazione e rancore suonano infatti come preoccupanti allarmi, che scattano in una società sempre più fragile e disorientata.
Bruno Dorigatti, "L'Adige", 1 maggio 2013

Ma il 25 Aprile appena trascorso ha rappresentato un momento di grande intensità civile: erano anni, davvero, che non si assisteva ad una così ampia e viva partecipazione alle celebrazioni, ed anche a Trento abbiamo visto con piacere tante giovani e tanti giovani cittadini sfilare per le strade, assistere alle cerimonie pubbliche, organizzare in prima persona non solo feste e momenti di svago, ma incontri di riflessione e dibattito sui temi del lavoro, della legalità, dei principi costituzionali.

 In questo modo, la Festa della Liberazione si è liberata dal rischio che devono affrontare tutte le ricorrenze, e cioè quello della retorica di circostanza, che trasforma i grandi eventi civili in stanche liturgie auto-consolatorie. Partecipare e attualizzare, sono queste le chiavi per vivere al meglio queste giornate di festa: partecipare, perché è nel «noi», e non nell'egoismo dell'«io», che si trovano le motivazioni e le forze del cambiamento; attualizzare, senza cadere nell'uso strumentale di una storia semplificata e buona per tutte le occasioni.
La lezione del 25 Aprile è questa, e dobbiamo farne tesoro anche oggi, che ci troviamo a festeggiare la Giornata delle Lavoratrici e dei Lavoratori. Quanta retorica si rischia, infatti, in un'Italia martoriata dalla piaga della disoccupazione, dove quasi un quarto dei cittadini rischia di cadere in povertà e una famiglia su dieci vive nella totale indigenza, dove più di sei milioni di persone è ormai al margine del mercato del lavoro, dove un giovane su due fatica a trovare lavoro, e se lo trova deve rassegnarsi ad un contratto precario. Ecco allora che dobbiamo trovare il modo per uscire dalla banalità, dai tatticismi di maniera, dalla logica delle frasi ad effetto, buone al massimo a riempire le pagine dei blog e il vuoto dei talk show televisivi. Ed il modo per uscirne è uno solo: agire, ognuno nel suo ruolo, con pragmatismo e responsabilità, sapendo che la politica non è la ricerca affannosa del consenso ma, soprattutto, costruzione collettiva di senso e soluzione puntuale delle domande e dei bisogni che emergono dalla complessità del sociale.
La buona politica non prevede il «bisognerebbe fare», ma il «stiamo facendo» se non, addirittura, l' «abbiamo fatto». Anche in Trentino, di ricette fantasiose, di medicine miracolose, ne stiamo sentendo di ogni genere: meno pubblico più privato, meno Provincia più mercato, meno industria più servizi, meno incentivi alle imprese e più creatività.
Dietro tutti questi slogan triti e ritriti, spesso si stenta a capire quali siano le proposte per risolvere il dramma dell'occupazione e della mancanza di reddito di decine di migliaia di trentine e trentini: queste persone esistono e, spesso silenziosamente, si attendono da chi governa sostegno e aiuto per sollevarsi e tornare a vivere con dignità.
Allora ecco che si può dire «abbiamo fatto»: abbiamo fatto una delle misure più innovative d'Italia in materia di protezione sociale, che è quel reddito di garanzia di cui, ormai come un mantra, si vagheggia oggi in tutta Italia; abbiamo proseguito con una politica anticongiunturale di sostegno al reddito e all'attività di impresa che ha attutito i colpi della crisi; abbiamo ottenuto da Roma la delega sugli ammortizzatori sociali. Possiamo dire inoltre che «stiamo facendo»: stiamo definendo l'attuazione di questa delega, per dotare il Trentino di un sistema di tutele avanzato, fatto non solo di sostegno al reddito ma di politiche attive, formazione, qualificazione professionale e ri-attivazione dei lavoratori; stiamo portando avanti ulteriori interventi a sostegno delle famiglie e delle imprese, con un iter consigliare rapido e puntuale.
Questa è la responsabilità della politica, che ovviamente non può sottrarsi al «bisogna fare»: bisogna fare di più, subito, per quelle situazioni più urgenti di crisi individuale e famigliare, per quelle nuove e inedite povertà effetto di questa crisi che sembra ormai un elemento di sistema, e che ha travolto le fragili dighe di un sistema di welfare, come quello italiano, ormai evidentemente inadeguato. Questo «bisogna fare», per recuperare il ruolo primario della politica e ridare speranza a chi è tentato dall'abbandono. Buon Primo Maggio!