Garantire il diritto di cura anche a chi, per via della crisi, non può più esercitarlo. Ed estendere anche ad altre prestazioni sanitarie il modello introdotto dalla legge provinciale 22 del 2007, che ha incluso le cure dentarie nei cosiddetti “livelli aggiuntivi”, con un finanziamento dell’ente pubblico pari a 18 milioni di euro l’anno: una buona fetta dei quali (circa un terzo) serve tra l’altro per interventi su minori, ad esempio la pulizia dentale, con evidenti effetti in termini di prevenzione.
P. Morando, "Trentino", 27 aprile 2013
È l’obiettivo del consigliere provinciale del Pd Mattia Civico, che è anche presidente della Quarta commissione permanente competente in materia di politiche sociali: due suoi disegni di legge, il primo depositato una decina di giorni fa mentre il secondo lo presenterà martedì prossimo, vanno appunto in questa direzione: allargare il quadro legislativo che ha portato nei mesi scorsi alla nascita in Trentino della prima cooperativa sociale di dentisti d’Italia, la FiDente, sul cui modello potrebbero in futuro svilupparsi altre iniziative nel campo delle cure psicologiche e in quello della ginecologia.
Perché proprio questi ambiti di cura e non altri? Sull’importanza delle cure ginecologiche non servono spiegazioni. Circa invece il campo della psicoterapia, oggetto del ddl che ho già presentato, è indiscutibile che oggi si assista a crescenti bisogni di cure. La dimensione della fragilità psicologica sta aumentando: pensiamo a che cosa vuol dire per un padre di famiglia perdere il lavoro, la sua preoccupazione per il futuro dei figli, ma anche che cosa significhi per uno studente che termina il proprio percorso formativo non trovare un’occupazione, o studiare in ambiti che non offrono alcuna prospettiva.
Quello che prefigura è un nuovo modello di welfare. Proprio qui sta il punto. In entrambi i casi che ho citato, vi sono bisogni che crescono: si tratta di trovare forme organizzative non legate al lucro che possano intercettare questa domanda, organizzando risposte efficaci.
Con l’effetto anche di creare posti di lavoro. Ma in forme diverse dalle attuali. Esatto. È un mercato da cui possono emergere reali opportunità di lavoro. Pensiamo però ai nuovi dentisti freschi di laurea, agli psicologi, ai ginecologi: possono sperare tutti di entrare ad operare nel pubblico, attraverso un concorso?
Se così fosse, andrebbero incontro a pesanti delusioni. Ma anche se pensassero invece di aprire un proprio studio professionale privato, con tariffe standard.
Lei dice in sostanza: il lavoro c’è, ma sono sempre meno gli utenti che possono e potranno in futuro permettersi interventi di cura costosi. Dico di più: oggi in ballo non c’è più l’ammontare del guadagno dei professionisti, perché chi può si rivolge già al privato. Con il crescere della crisi ci sono però pezzi di sanità che rischiano di non essere più esigibili. Quando invece la stessa Costituzione utilizza l’aggettivo “fondamentale” solo in un passaggio: proprio a proposito del diritto di cura. O ce ne rendiamo conto e inseriamo nel sistema del welfare nuovi modelli organizzativi che garantiscano prestazioni di pari qualità, oppure non riusciremo a fermare il turismo sanitario, in situazioni dove però la logica è quella del discount. Dove in campo dentistico, lo standard è quello del risparmio sui materiali della mano d’opera sottopagata.
Ammetterà che proposte del genere possano essere viste con sfavore dai professionisti che operano oggi sul mercato. Io credo che l’attuale situazione dovrebbe preoccupare ogni professionista e ogni operatore sanitario. Che dovrebbero sempre considerare la necessità di garantire a tutti parità d’accesso. Proviamo quindi a ragionare con pezzi di mercato che in questo momento stanno legittimamente nel lucro, portandoli invece nel non profit, garantendo un giusto guadagno ma avvicinandoli a forme cooperative e mutualistiche capaci di affermare il diritto alla prestazione disgiunto dal lucro. È una dimensione di corresponsabilità e comunità su cui in passato, nel campo del sociale, sono già stati fatti grandi passi avanti.
Potrebbe valere anche per la medicina territoriale? Senz’altro. Il decreto Balduzzi impone una copertura di 24 ore: come la facciamo? Come garantire questa esigenza con gli attuali presidi di sei ore giornaliere? Se vi fossero invece medici di base che hanno voglia di rimettersi in gioco, in forma associate per la presa in carico del paziente non più singola ma di gruppo, con livelli di multidisciplinarietà e ulteriori capacità diagnostiche... Ma qui poi l’ente pubblico dovrebbe mettere a disposizione supporti logistici. Il punto è che si stanno aprendo nuovi scenari, con nuove esigenze. E che abbiamo bisogno di un’alleanza di tutte le parti: Cooperazione, Provincia, Azienda sanitaria e Ordini professionali.
E se questi ultimi tirassero il freno, come già sta accadendo circa la neonata cooperativa di dentisti? Dimostrerebbero di essere fuori dal mondo. Non regge più l’idea di pensare solo a proteggere l’esistente, e lo dico diplomaticamente. È invece necessario occuparsi di coloro che oggi non riescono più ad esercitare il diritto alla salute. E stando alle ultime statistiche inizia ad essere la maggioranza del Paese. Se di tutto questo non ci si farà carico, con un tavolo di programmazione seria, anche le buoni prassi già in campo rischiano di essere messe in discussione.
C’è il tempo per approvare le sue proposte prima della fine della legislatura? Spero di sì. Se così non sarà, che siano però le prime della prossima. A me interessa porre la questione su un piano politico, anche all’interno del Pd. L’alternativa è lasciare invece che sia il mercato del lucro a regolare il diritto alla salute.
E allora si salvi chi può. Ma si salverebbero in pochi.