L. Patruno, "L'Adige", 10 maggio 2009 Alberto Pacher è molto, molto contento per come sono andare le elezioni nella «sua» Trento, non solo per il risultato di Andreatta ( con lui nella foto ) e del Partito democratico, ma anche perché si è affermata la solidità della coalizione di centrosinistra autonomista.
Come è nella sua natura, il vicepresidente della Provincia evita la polemica diretta con gli alleati e con qualche esponente del Pd - leggi Kessler - che subito dopo l'apertura delle urne non ha trovato di meglio da fare che sparare contro l'Upt, cercando di demolirne il progetto politico. Nello stesso tempo però Pacher indica alcuni punti fermi e le scommesse che ora il Pd del Trentino deve cercare di vincere. Vicepresidente Pacher, come valuta il positivo risultato, forse ben oltre le previsioni, per il Pd e per la vostra coalizione? È stato riconfermato il risultato registrato alle elezioni provinciali e questo significa che quello non è stato un episodio isolato ma si sta affermando una tendenza. Il Pd ha ormai una propria base elettorale piuttosto consolidata, che ha al suo interno componenti diverse. Intende dire sia elettori degli ex Ds che della ex Margherita? Sì, perché questo voto ci dice che la divisione di percorsi all'interno della Margherita è stata molto più marcata nelle leadership che nell'elettorato. Una parte molto consistente dell'elettorato della Margherita si è spostato sul Pd. Il presidente Dellai ha però osservato che a Trento una buona parte dei dirigenti della Margherita si è spostata sul Pd. Diciamo che si è spostata la parte più tonica. È vero che in città è più diffusa una certa sensibilità, ma anche in giro il Pd non è andato male e comunque vedremo nel 2010, quando ci sarà la grossa tornata di elezioni comunali. Come pensa che si evolverà il rapporto tra il Pd e l'Upt? Dobbiamo cominciare con il prendere atto che la situazione è molto cambiata rispetto a un anno fa. Allora, da una parte si andava verso le primarie del Pd, mentre dall'altra c'era la scissione della Margherita in due tronconi, Pd e Upt, con l'obiettivo di ritrovarsi, era stato detto, dopo le elezioni provinciali. Oggi, il quadro è diverso. C'è una parte dell'ex Margherita che ha deciso di costituire un'area moderata che dialoga con la parte più progressista. Quindi lei non si aspetta più che Pd e Upt possano diventare un unico partito come, ad esempio, vorrebbe Kessler? Certo, questa è la situazione di oggi, non dobbiamo scandalizzarci. È palese che il Pd da solo non vince e adesso sappiamo che il Pd deve preoccuparsi di allargare il proprio consenso nella parte progressista della coalizione, sapendo che in quella più moderata l'Upt sta portando avanti questo processo con l'Udc. E con il Patt, forse. Noi non possiamo fare altro che prenderne atto. In politica si deve fare i conti con la situazione che si ha davanti, senza recriminare. Dice «con il Patt forse» perché non crede a un partito che unisce Upt e Patt? Il Patt è un partito e ha un elettorato molto identitario. Potranno avere una collaborazione molto stretta, ma vedo difficile una fusione del Patt in un altro soggetto. Come pensa che possa crescere il Pd? Noi dobbiamo rispettare le scelte degli altri partiti ma proporci all'elettorato senza pensare ai confini e penso che ci siano grandi spazi di crescita per il Pd sia a sinistra che nell'elettorato di centro, anche perché queste categorie sono superate. Noi dobbiamo parlare a un'opinione pubblica molto vasta e dobbiamo essere interlocutori di tutte le forze politiche. A chi pensa? Penso innantitutto all'area autonomista, al Patt. Non c'è scritto da nessuna parte che autonomismo vuol dire visione conservatrice. Nel dopoguerra, nell'Asar c'erano fior fiore di socialisti. E penso che il Pd debba diventare protagonista anche del progetto di Euroregione, il rapporto trasnsfrontaliero delle due Province autonome con il Tirolo, per rafforzare il progetto stesso. Vuole rubare la scena all'Upt? Un Pd forte è capace di interloquire con tutti a 360 gradi, non ha bisogno del filtro dell'Upt per parlare con il Patt o l'Udc, né per parlare di autonomia. Lei non teme che l'Upt, magari in qualche elezione comunale, possa decidere di fare a meno del Pd? Tutto dipende dalla capacità del Pd di porsi come interlocutore indispensabile sul quadro politico provinciale e nelle singole zone. Io non ho motivo di mettere in dubbio la lealtà dell'Upt a un progetto di coalizione. Il Pd del Trentino ha ancora un segretario provvisorio. Il congresso sarà ad ottobre. E intanto? Il congresso sarà un passaggio molto importante, ma intanto devo dire che Maurizio Agostini sta lavorando molto bene. Pare che non sia il solo a pensarlo e c'è chi dice che Agostini, che è nato come segretario di transizione, come Franceschini a Roma, dovrebbe invece candidarsi alla guida del partito. Lo pensa anche lei? Io sarei contentissimo che lui si candidasse. È una persona equilibrata e capace di prendere decisioni. Sarebbe una fortuna se si candidasse perché io sono convinto che con lui uscirà dal congresso un partito più unito e forte. Che rapporto pensate di costruire con i socialisti, i laici e i Verdi, ovvero le altre forze «progressiste» della coalizione e con la sinistra? Io vorrei che avviassimo un confronto crescente con l'area socialista, che hanno avuto un ulteriore segnale in questi elezioni che non ci sono molti spazi per loro, ma penso che invece potrebbero trovarsi confrotevolmente nel Pd. E lo stesso con i Verdi. Rischiano di esaurirsi per consunzione, dobbiamo trovare forme di collaborazione. Mi piacerebbe che il Pd diventasse perno di un'area progressista. Non credo invece che il Pd possa coprire tutti gli spazi a sinistra, diventerebbe un coacervo, anche se penso che si possa dialogare con l'area di Niki Vendola.
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