Il deputato-segretario: «Impossibili le larghe intese con il Pdl, possiamo fare un esecutivo del presidente con personalità al di fuori dei partiti».C. Bert, "Trentino", 22 aprile 2013
«Governo sì, ma non potrà essere un governo politico, questo porterebbe all’esplosione del Pd». Michele Nicoletti, deputato e segretario del Pd trentino, reduce dall’elezione del presidente della Repubblica e dai tre giorni che hanno squassato il partito di Bersani, boccia le larghe intese: la «grande coalizione» con il Pdl in Italia non si può fare, spiega, «perché la nostra anomalia si chiama corruzione, conflitto d’interessi, compravendita di parlamentari». E su questo è pronto a dare battaglia dentro il Pd. Nicoletti, in questi giorni abbiamo assistito all’’implosione del Partito democratico. Lei come si è spiegato quanto è accaduto? La giornata cruciale è stata venerdì, quando con la caduta di Romano Prodi abbiamo vissuto una pagina orribile. Prodi è riconosciuto come uno dei personaggi più significativi della politica italiana, e non ne abbiamo tanti, tessera numero uno del nostro partito, colui che incarna un’idea di Pd come prosecuzione dell’Ulivo, come sforzo di costruire un partito di centrosinistra plurale, aperto, coraggiosamente riformatore. Purtroppo in molti, al nostro interno, non si sono resi conto che quella era la migliore proposta che il Pd poteva mettere in campo. E non si è capito neanche all’esterno che quella candidatura poteva essere il punto più alto di equilibrio. Non l’ha capito neanche il Movimento 5 Stelle, che si illudeva di poter andare su un candidato che non avevano i voti necessari. E non l’ha capito Scelta Civica, da cui ci si sarebbe aspettati fin da subito un sostegno a una personalità come Prodi, non dopo. Chi, nel Pd, ha tradito Prodi? Io dico che c’è stata una responsabilità dei dirigenti nella gestione delle candidature, anche di quelli che, un minuto dopo l’esito della votazione, si sono preoccupati di dire che la candidatura di Prodi non c’era più (Matteo Renzi, ndr). Francamente è stata una fretta di cattivo gusto e sbagliata, perché in politica le porte vanno sempre tenute aperte. Tra l’altro non si capisce perchè, uno che non è neanche grande elettore, debba fare il becchino. Penso poi che anche Rodotà avrebbe potuto ritirarsi in quell’occasione, almeno temporaneamente. È stata una giornata che ci ha lasciati attoniti e smarriti e a quel punto è stato meglio riportare le lancette allo stadio iniziale, grazie alla disponibilità di Napolitano. Lei che idea si è fatto di quei 101 franchi tiratori? Certamente colpisce il pacchetto di voti andato disperso e questo fa sorgere il dubbio che più che singoli parlamentari, nel risultato di quella votazione abbiano pesato gruppi di parlamentari un po’ più navigati e magari preoccupati che non si facesse un governo di larghe intese come loro speravano. A proposito di larghe intese, in queste ore si parla già di un governissimo con Enrico Letta o Giuliano Amato possibili premier. Lei cosa pensa? Il Pd aveva proposto, rivolgendosi soprattutto al Movimento 5 Stelle, un governo del cambiamento con una maggioranza politica di segno riformatore, questa è stata la speranza. Una strada che abbiamo perseguito con tenacia, a costo di prenderci gli insulti, ma che non ha portato a nulla. Ora secondo me esiste ancora un punto di equilibrio che si può trovare, quello di un governo del presidente guidato da una personalità al di fuori dei partiti, con ministri non politici, che abbia come traccia il programma indicato dai saggi chiamati dal presidente Napolitano. E accompagnato da una bicamerale sulle riforme istituzionali. Sarebbe un atto di responsabilità di fronte a una situazione socio-economica che richiede la nascita di un governo. E se questa volta il presidente della Repubblica chiedesse ai partiti di metterci la faccia, con dei ministri politici? Se si pensa ad un governo con una forte presenza politica questo rischia di far esplodere il Partito democratico. È un passaggio che non penso verrebbe capito. Francamente la linea è sempre stata un’altra. Del resto è poi tutto da dimostrare che sarebbe un governo forte, rischia piuttosto di essere paralizzato. In Germania si è fatto. Perché in Italia no? Non c’è una preclusione di tipo ideologico. Il problema è l’anomalia della situazione italiana che riguarda i temi della corruzione, del conflitto d’interessi, non ultimo della compravendita di parlamentari. Sulla base di questo scenario mi pare difficile che la nostra linea oggi possa essere capovolta. Avremo una discussione interna e su questo punto io, e quelli che la pensano come me, faremo una battaglia. L’alleanza con Sel è già saltata e Vendola già annuncia un nuovo soggetto a sinistra con i delusi Pd. Pensa che il vostro partito riuscirà ad evitare una scissione? Penso che oggi sia troppo presto per individuare cosa succederà. Certamente siamo in un momento grave e i rischi di spaccatura della coalizione, e del Pd, ci sono. Ma come nella vita, anche nella politica c’è bisogno di lasciar sedimentare quello che è avvenuto e tornare a esercitare lo sforzo della ragione e della responsabilità. Con Sel abbiamo fatto un cammino, mi auguro che possa continuare. Nella votazione su Prodi sono stati leali, poi hanno fatto scelte diverse che non ho condiviso. Ma non si può rimproverare a loro di aver fatto mancare i voti nel momento cruciale. Dellai intravede, di fronte alle contraddizioni interne al Pd, la possibilità che nascano nuove aggregazioni, con una nuova forza che metta insieme i riformisti. Condivide? Avverto nella nostra base una tristezza inaudita, una rabbia e un’indignazione profonda. Ma questi sentimenti sono dovuti ad un forte attaccamento al Pd, proporzionali alle speranze e alla fiducia che è stata data al Pd. Probabilmente dobbiamo scontare questo passaggio di gruppi del passato che ancora non hanno accettato la nascita del Pd, ma l’unità credo sia più forte. C’è voglia di ripartire. Se il Pd andrà al congresso con una sfida tra Renzi e Barca, a quale di queste due proposte si ritroverebbe più vicino? Molti considerano Matteo Renzi il vincitore già designato... Io non l’ho mai pensato. E se qualcuno poteva forse pensarlo fino a ieri, dopo questo passaggio avrei qualche cautela in più. Ho l’impressione che né l’una né l’altra opzione godano di un grande favore, nessuna delle due ne è uscita benissimo. Pensa che la situazione nazionale avrà dei riflessi sul Pd trentino? Un’eventuale scissione potrebbe dare impulso al progetto di un «partito territoriale» di cui si parla da anni? A dire il vero in questi giorni ho ricevuto da Trento, dai nostri iscritti, moltissimi messaggi a sostenere la candidatura di Rodotà. Se questo è il sentire comune, non so come questo si può comporre con una forza politica, Scelta Civica, che non ha votato per Prodi. La politica ha una sua linearità, altrimenti le cose si mettono assieme solo temporaneamente. Penso poi che il Pd nazionale dovrà ripensare a fondo il rapporto con il territorio, e costruire un rapporto con la base che non sia mediato dalle diverse leadership, renziani, bersaniani, domani i seguaci di Barca. Anche noi potremo ragionare su come valorizzare la nostra specificità, una delle ragioni della nostra maggiore unità è proprio nel rapporto forte con il territorio. Apriremo una discussione, cercando di tenere distinti i due piani, nazionale e locale. Qui abbiamo una coalizione che ha fatto bene e che dovremo cercare di salvaguardare. Su questo il nostro impegno c’è stato, mi piacerebbe ci fosse anche quello degli alleati. A cosa si riferisce? La vicenda di Pergine mi preoccupa. Se dovesse chiudersi con una coalizione che non c’è, o con una coalizione diversa, sarebbe un segnale da non sottovalutare.
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