Ieri sembrava che il Pd fosse riuscito a ricompattarsi intorno al nome del padre fondatore Romano Prodi, dopo il disastro della candidatura di Franco Marini, e invece alla standing ovation della mattina, nell'assemblea dei grandi elettori del partito, che sembrava far presagire la larghissima condivisione sul nome dell'ex premier, è seguito nel pomeriggio, alla quarta votazione, il tradimento di 101 parlamentari del centrosinistra, che nel segreto dell'urna hanno affossato anche questa candidatura, confermando come nel Partito democratico si sia ormai arrivati a una ingestibile guerra per bande. E in serata il segretario Pier Luigi Bersani e la presidente Rosy Bindi si sono dimessi.
L. Patruno, "L'Adige", 20 aprile 2013
La situazione drammatica è stata vissuta malissimo, insieme agli altri, anche dai parlamentari trentini del Pd che prima del voto erano galvanizzati all'idea che si fosse trovata la soluzione con il nome di Prodi e in prospettiva i voti per la sicura elezione visto che Scelta Civica aveva già fatto capire che se alla quarta votazione il Pd avesse dimostrato con un voto compatto il suo sostegno al fondatore dell'Ulivo, alla quinta votazione, quella di oggi, il partito di Monti avrebbe fatto convergere i suoi voti su Prodi, decretandone l'elezione a presidente della Repubblica anche nell'ipotesi che i grillini si fossero mantenuti fermi sul loro candidato, Stefano Rodotà.
Il segretario del Pd trentino, Michele Nicoletti , che non aveva condiviso la scelta di Marini, aveva però già auspicato giovedì pomeriggio che si convergesse su Romano Prodi ritenendolo figura unificante e di caratura internazionale. Per cui l'esito del voto di ieri è stato per lui una doccia fredda. Dopo la debacle, si è pure dimessa da presidente del Pd Rosy Bindi, alla cui area di riferimento Nicoletti è molto vicino, e il segretario, certificando la resa.
Il senatore Giorgio Tonini nel primo pomeriggio era fiducioso e sperava addirittura in un'elezione di Prodi al primo tentativo, grazie a qualche voto grillino o montiano. L'esito dello scrutinio è stato dunque uno shock.
«Non è più un problema di accordo con Berlusconi o meno - commenta dopo il risultato - c'è un problema politico dato dal fatto che c'è una parte del Pd che vuole l'accordo con il Movimento 5 Stelle. Dei 100 voti che sono mancati a Prodi, la metà sono andati a Rodotà, gli altri sono stati dispersi. Ora votare Rodotà sarebbe come spaccare in quattro il partito. Se il partito non c'è su Prodi con chi lo puoi tenere insieme? È una situazione terribile». E sulle dimissioni di Bersani dice: «Un atto di dignità inevitabile. Senza una visione si sbanda da una parte e dall'altra. La follia dei franchi tiratori ha travolto Marini, Prodi, ora Bersani. Speriamo si fermi prima di travolgere quel che resta del Pd e soprattutto del Paese».
Anche Alberto Pacher a Roma in rappresentanza della Regione Trentino Alto Adige, è sconcertato: «Io ieri avevo detto che pensavo di aver assistito al prologo della dissoluzione del Pd, ma francamente non pensavo che la dissoluzione fosse così veloce. Questo Pd ormai non solo è lontano dallo spirito delle origini, ma è una contraddizione di quello spirito. Non riesco a trovare più nulla - dichiara scorato il presidente della Provincia - che mi assomigli. Vedremo domani (oggi per chi legge, Ndr.) come si mette per l'elezione del presidente, ma sono molto preoccupato».
Intanto, Lorenzo Dellai , capogruppo di Scelta Civica alla Camera, conferma che: «Scelta Civica era pronta a convergere su Prodi alla quinta votazione se il Pd avesse dimostrato di essere compatto. Mi dispiace sul piano personale per Prodi e sul piano politico perché avrebbe potuto essere un tassello di un accordo tra Pd e Scelta Civica. Invece la furia demolitoria che spira nel Pd sta diventando un problema per tutto il sistema politico e questo mi mette molta tristezza per l'Italia».
I montiani lasciano comunque sul tavolo la candidatura del ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri , proposta ieri. «Può essere un punto di partenza - si augura Dellai, che ieri insieme a Monti ha incontrato Berlusconi e poi una delegazione del Pd - dopo che il Partito democratico si è mangiato il suo secondo padre fondatore, poiché non credo che vogliano provare con qualcun altro. Dobbiamo tornare a pensare a un nome meno di schieramento». E lo stesso Bersani ha confermato che il Pd un presidente da solo non lo elegge. E di fronte a queste macerie non è escluso che alla fine sia ancora Giorgio Napolitano a tirare fuori l'Italia da questo caos offrendo la sua disponibilità per un nuovo mandato.
Per un giorno i prodiani trentini hanno sperato
A. Tomasi, "L'Adige", 22 aprile 2013
C'era un Trentino che tifava per Romano Prodi e che per tutta la giornata di ieri ha sperato nella fumata bianca. Ed erano molti i supporter trentini delusi dalla votazione finale e dal suo «addio» alla candidatura. Per 24 ore, prima della fumata nera che ha messo in crisi i vertici del Pd, molti avevano sperato veramente: dopo l'arrivo (e l'addio) di un professore a Palazzo Chigi (il bocconiano Mario Monti), si pensava che un altro professore - amico del Trentino - potesse arrivare al Quirinale.
Forti i legami di Prodi con Lorenzo Dellai, l'ex governatore oggi in «quota Monti» in Parlamento, e con la cooperazione. Ma fortissimi sono i legami con il mondo accademico. Quando si pensa ai Prodi all'interno dell'Università di Trento si pensa all'ex rettore Paolo o ad Andrea, docente di fisica sperimentale nel dipartimento di Povo. In realtà anche Romano ha insegnato a Trento. Assistente di Beniamino Andreatta, Romano Prodi - nato a Scandiano il 9 agosto 1939 - appartenente all'ala sinistra di una Democrazia Cristiana oggi scomparsa o, meglio, diluita in mille rivoli partitici, mise piede a Trento nel 1968. Nell'anno accademico 1968-1969 gli venne assegnato l'incarico, a tempo, di docente di economia industriale del Libero istituto di scienze sociali, destinato a diventare Libera Università degli Studi.
L'incarico - dicono i registri ufficiali - venne rinnovato nel 1970-1971. Nel 1972 l'accademia trentina, governata dal presidente Bruno Kessler, provvide ad indire un concorso pubblico per una cattedra che era stata pensata per l'ormai trentatreenne, Romano di nome ed emiliano di origine. Ma lui, che aveva superato la selezione nazionale per docente ordinario, preferì la cattedra dell'Università di Bologna.
In compenso il fratello Paolo venne a Trento, legando per sempre il suo nome a quello della storia del nostro ateneo: era ordinario di storia e assunse la carica di rettore. «Romano Prodi, brillante come il fratello, ha un carattere diverso. All'epoca - ricorda oggi l'ex senatore Tarcisio Andreolli che allora era direttore amministrativo dell'Università - era un giovane rampante, un docente molto simpatico. Quando si appartiene alla stessa generazione è facile fraternizzare.
Se per il resto degli italiani Romano Prodi è «l'uomo Iri», in Trentino è anche l'uomo vicino alle coop (nel 1996 al Polo delle libertà la Federazione trentina preferì pubblicamente il centro-sinistra), amico del trentino Beniamino Andreatta (a cui però dava sempre del lei) e quindi vicino alla Dc kessleriana. In seguito partecipò a qualche edizione degli incontri di Lavarone, promossi dal Centro Aldo Moro di Trento - fondato nel 1983 da Luciano Azzolini - in collaborazione con quello di Padova.
Ma chi sono i prodiani trentini? Impossibile fare un identikit. Possiamo dire che nel marzo 2006, nel pieno della campagna elettorale Romano Prodi, allora candidato premier di una coalizione di centro sinistra (L'Unione) venne in visita a Trento. La cena a Villa Bortolazzi era stata organizzata dall'amico di pedalate in montagna, Lino Benassi, presidente della Finanziaria Trentina spa. Al tavolo d'onore del Professore c'erano l'allora governatore Lorenzo Dellai e l'allora sindaco di Trento Alberto Pacher. Presenti Antonello Briosi (Metalsistem), Mario Marangoni, Enrico Zobele, Gino Lunelli, l'imprenditore Fabrizio Collini, dell'omonima ditta di costruzioni, l'allora superassessore Silvano Grisenti, il presidente di Trentino Trasporti, Vanni Ceola, Loris Lombardini (Confesercenti), Paolo Battocchi, presidente di Trentino servizi, Marco Merler (Trenta), Gino Cristoforetti, Matteo Lunelli, l'avvocato Luca Pontalti. C'era anche un pezzo di cooperazione trentina: Pierluigi Angeli, Giorgio Fiorini (Sait), Roberto Giacomoni (Cantine La Vis), Silvano Rauzi e Mario Tonina (Allevatori). C'erano anche Angelo Pallaoro, l'ingegner Pier Renato Maschio e Fulvio Baldo (AliTrento), Giuseppe Gasperi (Texbond), il notaio Paolo Piccoli.
Nel corso degli anni sono state tante le trasferte di Prodi in Trentino: di lui si ricorda anche una recente visita a Castello di Pellizzano: «Conosce la Val di Sole molto bene - ricorda l'ex sindaco Michele Bontempelli - Ricordo che mi sfidò nel chiedergli i nomi dei paesi uno dopo l'altro». Prodi sarà sempre un gradito ospite, ma mai il presidente della Repubblica.
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Dellai: «Eravamo pronti a votare Prodi, ma qui è in atto una guerra tra bande». Ottobre: «Non era il nome giusto»
"Trentino", 20 aprile 2013
Sono le 19, Romano Prodi è appena caduto sotto i 100 franchi tiratori del Pd e il senatore Giorgio Tonini usa una sola parola per definire il proprio stato d’animo: «Sono sconvolto». «Pensavo quasi che ce la potesse fare, magari sul filo, invece sono mancati 100 voti, tutti nostri. Non riconosco più il Pd, non so che mostro abbiamo creato. Quasi un quarto dei nostri parlamentari ha preferito Rodotà a Prodi, forse c’è chi vuole che il Partito democratico diventi la sesta stella dei 5 Stelle. Non so cosa pensare. Se non siamo riusciti a unirci su Prodi, non so come potremmo farlo su altri nomi». E se giovedì il problema sembrava l’intesa con il Pdl, oggi per Tonini la situazione si fa molto più grave: «C’è bisogno di un chiarimento politico, subito». Altrettanto allibito Alberto Pacher, il presidente della Provincia di Trento a Roma come grande elettore regionale: «È un delirio, uno sfinimento - commenta sconfortato - stamattina abbiamo assistito ad una standing ovation, non c’è stato nemmeno un astenuto. E stasera ci ritroviamo con 100 voti che mancano. C’è una quota di irresponsabili che ha voluto forse dare un segnale politico ma questi metodi sono innaccettabili. Io in questo Pd non mi riconosco più, non c’è niente che mi assomigli. Così stiamo regalando il Paese alla destra». «Non so come faccia Bersani a restare dov’è... credo sia solo per senso di responsabilità», aggiunge Pacher, che con Michele Nicoletti dovrà restare a Roma e salterà oggi la conferenza programmatica del Pd trentino a Rovereto. E pensare - rivela Lorenzo Dellai, capogruppo dei montiani alla Camera - che «c’era già la disponibilità di Scelta Civica a convergere domani (oggi, ndr) su Prodi se il Pd avesse dimostrato una tenuta sul suo nome». Tenuta che non c’è stata, anzi «la crisi profonda del Pd rende oggi ancora difficile trovare una soluzione». Dellai, che di Prodi è amico personale, ieri era considerato dal Pd uno dei pontieri di Scelta Civica su cui fare leva per portare a casa i voti mancanti al professore. Il pressing non ha però fatto cambiare idea ai montiani che hanno confermato la scelta del ministro dell’interno Annamaria Cancellieri. «Dal punto di vista personale - confida Dellai - sono convinto che Prodi sarebbe stato un eccellente presidente, anche se la sua sarebbe stata una presidenza travagliata. Il punto è che oggi non c’erano le condizioni per votarlo, e l’esito del voto dimostra che il problema è tutto interno al Partito democratico. Siamo alla guerra tra bande, è urgente che domani si arrivi a una possibile intesa su nuove basi. Noi abbiamo proposto il nome di Annamaria Cancellieri, il Pd non può certo bruciare un terzo nome. Prenda atto e converga su una soluzione che metta il Quirinale al riparo da questa macelleria politica». Dellai si augura «un sussulto di buon senso». E la sua riflessione è amara: «Non si trattano in questo modo i fondatori del tuo partito, è l’indice che ormai la politica è stata sostituita dal marketing, dalla paura delle 400 email di protesta che arrivano sull’Ipad del singolo deputato. Servirebbe recuperare il senso della politica e dello Stato, e il senso della disciplina dentro le forze politiche».
Tra chi ieri mattina al Teatro Capranica ha applaudito alla candidatura di Romano Prodi c’è il deputato - e segretario del Pd trentino - Michele Nicoletti, che giovedì aveva sfidato gli ordini di scuderia, votando Zagrebelski e non Marini: «Personalmente sono molto contento - diceva ieri prima della votazione choc del pomeriggio - Prodi è una figura di grande prestigio e credibilità di cui l’Italia ha bisogno, nella scia di Ciampi e Napolitano. Prodi, continua, «ha il merito di aver ricompattato la nostra alleanza, e poi è in grado di dialogare con Scelta Civica o almeno una sua parte, ed è nella lista dei candidati 5 Stelle. Penso che elettori degli uni e degli altri possano convergere sul suo nome».
E il segretario respinge l’equazione per cui eleggere Prodi significherebbe un rapido ritorno alle urne: «è un fantasma agitato da chi vorrebbe guidare gli schieramenti alla battaglia. Una volta eletto il capo dello Stato, si farà ogni sforzo per creare un governo, quale dipenderà anche dalla maggioranza che eleggerà il presidente». Decisamente scettico sulla candidatura Prodi è stato da subito invece il deputato Svp Mauro Ottobre: «Il mio segretario Panizza mi ha ordinato di votarlo - si limita a dire sibillino - Prodi è una figura di assoluto valore, ma per la fase storica che stiamo vivendo è di vitale importanza che il prossimo presidente venga eletto con una maggioranza trasversale, che rappresenti tutto il Paese e non un solo partito. Invece di unire, rischia di essere una candidatura che continua a dividere, va cercata una soluzione che abbia una maggiore condivisione». E a sera può dire: «L’avevo detto io che non c’era il quorum. Il Pd non è più un partito, qui è un disastro». Preoccupato fin dal mattino si era detto anche il senatore Vittorio Fravezzi, vicecapogruppo del Gruppo Per le autonomie: «Voterò per Prodi - annuncia - il suo è un profilo internazionale di garanzia per l’Italia ed è una personalità a me vicina per cultura e storia personale. Sono preoccupato che venga mandato al massacro, non è scontato che ottenga il quorum e penso che si poteva trovare un nome terzo che potesse garantire una larga condivisione. Ma oggi gli interessi di parte dominano su tutto». L’altro senatore trentino del Gruppo Autonomie, Franco Panizza, lo ribadisce: «Noi siamo stati leali alla coalizione. Purtroppo da giorni lo diciamo inascoltati, serve un nome in grado di intercettare un consenso più ampio di quello di un solo schieramento. Prodi si porta dietro tutte le tensioni e le divisioni legate al passato, questa è la realtà». Dai banchi 5 Stelle, il deputato Riccardo Fraccaro conferma il voto convinto a Stefano Rodotà: «Non c’è un motivo al mondo per non votarlo, lo hanno scelto 50 mila cittadini con le quirinarie e sono gli stessi elettori del Pd a invocarlo. Il Pd ci dia un motivo per non votarlo, se il motivo sono i loro problemi interni, allora non vale. Rodotà è una persona integerrima moralmente e politicamente, che potrebbe dare uno slancio al Paese». «Io - prosegue Fraccaro - non sono qui per votare il meno peggio», dove il meno peggio sarebbe Prodi (8° nella top ten del M5S) rispetto a Marini. Convintamente fuori dall’aula il senatore della Lega Sergio Divina: «Se qualcuno pensava di coinvolgerci in giochetti nel segreto dell’urna, lo abbiamo stoppato. Prodi è l’uomo più sbagliato in un momento in cui c’è bisogno di condivisione, è l’uomo che ha diviso e dividerebbe il Paese, oltre a non essere stato capace di concludere nulla. Avevamo individuato l’uomo giusto, Marini, non so a che gioco stia giocando il Pd». «Se Prodi rimane sotto i 460 voti sarà allarme rosso», era la previsione di Divina poco prima che cominciasse lo spoglio. I numeri sono stati ben più bassi. Pino Morandini, altro grande elettore regionale in rappresentanza delle minoranze, ieri pomeriggio è rimasto in aula, pur non partecipando al voto come da linea del suo partito: «Sono sconcertato - spiega - la Costituzione dice che il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale. Ho grande rispetto per Prodi come persona, ma un presidente eletto solo dal centrosinistra sarebbe un segnale davvero preoccupante. In una fase di crisi gravissima per l’Italia, il Quirinale è rimasta l’unica istituzione che ha retto, bisogna pensare a un presidente non organico a nessun partito, che possa raccogliere il più ampio consenso che gli garantisca credibilità e autorevolezza. Non può esserlo chi, come Prodi, ha fatto campagna elettorale contro una parte del parlamento». E rivolto a Renzi aggiunge: «Il nuovo sarebbe un presidente che 35 anni fa era già ministro?». Gli eventi di ieri hanno detto che l’opzione non si realizzerà: Prodi ha ritirato la sua candidatura.