G. Tonini, "L'Adige", 6 maggio 2009 Visto da Roma, il Trentino si conferma «isola felice»: per il centrosinistra, che porta un suo candidato sindaco a vincere con quasi i due terzi dei voti; e per il Partito democratico, che si conferma primo partito della città, con il 30 per cento dei consensi, due volte e mezzo il Pdl di Berlusconi.
La domanda che più ci si sente rivolgere, in queste ore, è se si tratti di una «splendida anomalia», come tale irripetibile altrove, o invece di un «laboratorio politico», dal quale si possano trarre lezioni utili per tutti. Propendo per la seconda ipotesi: nessuna esperienza politica è mai semplicemente replicabile, ma sempre si può imparare qualcosa dall'esperienza degli altri. Dall'esperienza trentina, a mio modo di vedere, il Pd nazionale può imparare tre cose. La prima è che l'amalgama, tra culture storie tradizioni diverse, che rappresenta la difficile e insieme affascinante scommessa del Partito democratico, può riuscire e funzionare. Alberto Pacher e Alessandro Andreatta hanno alle spalle storie diverse, ma l'esperienza di lavoro insieme, politico e amministrativo, al Comune di Trento, ha fatto sfumare le diversità ed ha esaltato il convergente riconoscersi in un'identità nuova, l'identità «democratica». E come ieri Pacher non ha incontrato alcun problema di consenso tra gli elettori di estrazione cattolica, così oggi Andreatta è stato votato di slancio dalla larghissima parte dell'elettorato progressista, che ha ignorato la falce e martello sulla scheda. La stessa mescolanza, virtuosa e feconda, si è registrata nel corpo della lista del Pd, rendendo di fatto irrilevante la domanda sulla provenienza dei singoli candidati: se dai Ds, dalla Margherita, o da qualcos'altro. Dunque, lezione trentina ad uso nazionale, non c'è nessuno steccato da ricostruire: tra laici e cattolici, tra sinistra e centro, tra bianchi e rossi. C'è solo da andare avanti, con rinnovato slancio, sulla via dell'incontro, della contaminazione, della sintesi. La seconda lezione che il Pd nazionale può apprendere da quello trentino è che non si può fare a meno di un chiaro e convincente modello di governo locale. Quello del centrosinistra autonomista trentino, che ha avuto dal sindaco Dellai il suo iniziale imprinting, è ormai ben collaudato. Si tratta di un modello basato su una visione eticamente esigente della politica, coniugata ad un sano pragmatismo amministrativo, su una moderata ma convinta innovazione programmatica, sulla sistematica ricerca del consenso attorno alla necessaria decisione e su uno stile di moralità e trasparenza, disponibilità e apertura alla società civile. Ci sono per fortuna, in giro per l'Italia, molte amministrazioni di centrosinistra che si muovono così. Ma ci sono anche troppe esperienze di governo locale in crisi di consenso, che sul risultato trentino dovrebbero meditare, proprio in quanto esso rappresenta la conferma che il potere, almeno il potere di centrosinistra, non logora chi ce l'ha solo se chi ce l'ha lo usa bene: nei contenuti e nel metodo. La terza lezione trentina è che si può e si deve saldare la «vocazione maggioritaria» del Pd con un nuovo sistema di alleanze. Vocazione maggioritaria non è infatti, non è mai stata, presunzione di autosufficienza. Ma piuttosto tensione e ambizione a proporsi, come amava ripetere Nino Andreatta, come «partito del Paese»: una forza capace di rappresentare la parte maggioritaria della comunità, locale o nazionale che sia, a raccogliere, attorno ad un programma riformatore, tutte le energie civili disponibili, respingendo la tentazione di lasciarsi rinchiudere in una nicchia, in un'appartenenza parziale e angusta, magari di «sinistra», o di «centro». Un Pd grande, forte, aperto, capace di rappresentare al meglio un vasto elettorato «democratico» e di «centrosinistra», può e deve essere anche il fulcro di una coalizione per il governo, un'alleanza politica e programmatica che sia qualcosa di radicalmente diverso da una sommatoria eterogenea di forze tenuta insieme solo dal nemico comune. A Trento è andata così. Con una particolarità, rappresentata dall'Upt, il principale, determinante alleato del Pd del Trentino. Non un partito di centro accanto ad uno di sinistra, né una forza «popolare» accanto ad una «socialista», ma piuttosto una formazione autonomista e territoriale, chiaramente collocata nel centrosinistra, accanto ad una forza nazionale, di centrosinistra e chiaramente e nettamente autonomista. Una forza autonomista e territoriale, l'Upt, a sua volta in grado di attrarre altre forze autonomiste e territoriali, a cominciare dal Patt, tradizionalmente irriducibile ad un'appartenenza lungo l'asse destra-sinistra, o centriste, come l'Udc. Questa lezione trentina il Pd nazionale, in particolare al Nord, farebbe bene a studiarla a fondo. In tutto il resto del Nord del Paese infatti, il Pd è costretto a giocare da solo una partita di tennis doppio: dall'altra parte della rete, ha davanti a sé due giocatori, ognuno forte quanto lui, il Pdl e la Lega. Solo in poche realtà, per lo più urbane, il Pd, affiancato da uno sciame di piccoli alleati di centrosinistra, è in grado di batterli. In tutte le altre, è destinato a soccombere. In Trentino, grazie all'Upt, il Pd può giocare il tennis doppio ad armi pari: partito nazionale contro partito nazionale e partito territoriale contro partito territoriale. Difficile dire quanto questo schema sia esportabile. Non si tratta infatti solo di una geniale mossa tattica, ma del risultato di un processo storico che deve molto all'intelligenza politica di Dellai, ma che ha radici molto profonde nella tradizione popolare e democratica, «degasperiana» del Trentino: mi riferisco al processo storico che ha portato la gran parte del bacino elettorale democristiano a riversarsi nel centrosinistra, nella Civica Margherita prima e ora nel Pd e nell'Upt, inibendo dalle origini l'attecchimento della Lega e l'espansione del centrodestra. Ma se di modello trentino si deve parlare è di questo e non di altro che si tratta. Un'ultima postilla: senza nulla togliere alle altre forze politiche, l'Upt si è dimostrata l'alleato indispensabile del Pd. Senza l'Upt, il Pd non potrebbe vincere: forse neanche a Trento, certamente non in Trentino. Ma vale anche il rovescio: anche il Pd è indispensabile per l'Upt. In Trentino, dove l'autonomia si vive, e a Roma, dove l'autonomia si difende. Lo ha capito anche la Svp, che non a caso ha chiesto e subito ottenuto dal Pd l'apparentamento per le elezioni europee, necessario a portare un sudtirolese a Strasburgo. Non sarebbe male se l'Upt se ne ricordasse, alle prossime elezioni europee. Non sarebbe gratitudine, ma solo realismo e lungimiranza.
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