Non c’è nulla da fare, l’Italia non riesce ad essere un paese razionale e tutto si muove inevitabilmente sempre e solo sotto la spinta di due motori inesauribili: l’emotività e l’emergenza. Questo da un lato fa sì che si viva in perenne precarietà, dall’altro che occasionalmente si trovino soluzioni geniali e impensate. Tutto il sistema purtroppo funziona così, compresa la nazionale di calcio. Non stupisce dunque che la politica, fedele specchio del Paese, sia la massima espressione di questa tendenza.
Francesco Palermo, "Trentino", 23 marzo 2013
Spesso i problemi sono trascurati per lungo tempo, e chi li denuncia si sgola nel deserto. Poi vengono improvvisamente scoperti e diventano l’unico problema nazionale, finché non se ne scopre un altro.
Questa è indubbiamente la fase dei costi della politica. Fino alla pubblicazione del libro “La casta”, di Stella e Rizzo, il tema era colpevolmente trascurato, e questo ha consentito che si accumulassero abusi scandalosi. Dopo quel libro benemerito, gli sprechi e il malaffare sono venuti alla luce. Fino al punto che un ossimoro (un partito anti-partiti) è la prima forza politica del paese – anzi non lo è del tutto ma è come se lo fosse.
Così, seguendo il tipico schema all’italiana, si susseguono dichiarazioni e controdichiarazioni sui tagli: i neo-Presidenti delle Camere annunciano di decurtarsi l’indennità del 30%, Grillo dice che non basta, allora facciamo il 50, iniziano discussioni infinite su quali parti della retribuzione si debbano e possano tagliare; poi il tema si sposta sulle ore di lavoro dei parlamentari (che secondo le ultime dichiarazioni dovrebbero essere 96 alla settimana, spalmate su 5 giorni, il che significa 19,2 ore al giorno). Insomma, il solito suq, la solita rincorsa a chi la spara più grossa, senza mai riuscire a fermarsi e a ragionare con calma e a mente fredda sui problemi e le soluzioni. Da noi – a dimostrazione che Südtirol ist sehr wohl Italien – il tema è il costo del cappuccino: anche qui la solita spirale di decisioni assurde (non pagarsi il panino) seguite da reazioni isteriche.
Eppure le soluzioni semplici ci sono e sono a portata di mano. Sulla questione delle retribuzioni dei parlamentari (e, a cascata, di tutti i rappresentanti politici e degli amministratori a vario titolo riconducibili alla politica), basterebbe ad esempio molto poco.
In primo luogo occorrerebbe un’informazione precisa e non allarmistica. In quanti hanno letto le disposizioni sul trattamento economico dei parlamentari, chiaramente riportate anche nei siti istituzionali (v. ad es. http://www.senato.it/1075?voce_sommario=61)? Poi basterebbe introdurre regole chiare, senza bizantinismi. L’opacità dei compensi e la conseguente scarsa informazione è dovuta al fatto che esistono varie voci che concorrono a determinare la retribuzione e i costi accessori (diaria, rimborsi, spese per collaborazioni), e che queste voci sono di difficile calcolo, riducono la trasparenza e ingenerano sospetti e sfiducia da parte dei cittadini. Ma questo è il Paese delle regole poco chiare, perché c’è sempre qualcuno che ci guadagna – basti pensare, tanto per dirne una, alle normative fiscali, in cui sguazzano gli evasori.
Quanto ci vorrebbe a stabilire in modo trasparente il compenso (lordo e netto) complessivo per ciascun rappresentante eletto? Un compenso adeguato ma esclusivo, in cui far rientrare tutti i costi legati all’attività? La cifra è quella, e in quella cifra deve rientrare tutto. Non solo non è difficile, ma si otterebbe trasparenza e si risparmierebbe molta burocrazia.
In secondo luogo, non si capisce perché debbano esistere indennità di carica. Vero che essere presidente di qualcosa normalmente aumenta le responsabilità, ma l’aspetto economico aumenta anche la corsa ai posti (compresi quelli dei controllori, come i questori), mentre ricoprire una carica importante è un servizio che si svolge temporaneamente e che dà prestigio e possibilità di muovere qualcosa (e questi dovrebbero essere gli incentivi a farlo). Lo stesso dovrebbe valere per le giunte, i consigli di amministrazione delle società pubbliche, ecc.
Infine, il tema dei costi travolge quello, non meno pressante, dell’efficienza. E’ più efficiente un parlamento (o consigli regionali, provinciali, comunali e via di seguito) grande e male attrezzato (e magari in futuro mal pagato) o piccolo e dotato di capacità di lavorare? Se invece di quasi mille parlamentari ce ne fossero 500 (trasformando il Senato in consesso degli esecutivi regionali e riducendo il numero dei deputati) non solo si risparmierebbe, ma soprattutto si lavorerebbe meglio, tagliando i costi indiretti, che sono molto maggiori di quelli diretti.
Regole chiare aiutano a frenare furbizie, emotività e aggressività, piaghe che affliggono questo Paese e che gli impediscono di esprimere tutte le sue potenzialità, che pure ci sono. Basterebbe davvero poco. Ma se non ci riusciamo da soli forse si potrebbe affidare una legislatura agli svedesi.