“Il Palazzo da dentro”

Alla Camera è tutto più grande e più caotico, nonostante i rapporti politici lì siano molto più chiari, a causa del premio di maggioranza. Al Senato invece le dimensioni sono ridotte, l’atmosfera è ovattata, e si respira un clima più pacato, anche in questi primi giorni in cui è pieno di cronisti. Eppure è qui che si gioca la partita, la possibilità di dare un governo al Paese o di affossarlo forse definitivamente con nuove elezioni.
Francesco Palermo, "Trentino", 21 marzo 2013


E’ qui che si sono rifugiati molti “nomi illustri” della politica italiana ed è nei suoi corridoi che si sussurrano le strategie che tutti pensano di avere e che nessuno riesce a far quadrare. Qui per sembrare importanti molti parlano al telefono coprendosi la bocca, e si guardano furtivamente intorno, per dare l’impressione che stiano dicendo cose segretissime e importantissime, e nel contempo per attirare l’attenzione sul loro prestigio che evidentemente reputano direttamente proporzionale alla segretezza delle loro conversazioni.
Quelli davvero importanti hanno a loro volta modi molto diversi di dimostrarlo. Berlusconi passa il poco tempo che dedica all’aula circondato da un nugolo di fedelissimi, che formano un capannello permanente intorno a lui, gli sorridono, lo omaggiano e lo riveriscono. Lui sembra apprezzare e sorride, ricompensando l’adorazione delle sue truppe con frasi evidentemente esilaranti e di incoraggiamento, giacché tutti paiono rincuorati e ridono ad ogni sua parola.
Monti sta invece prevalentemente da solo, siede sui banchi dei senatori a vita o sta in piedi vicino all’ingresso. Quando parla con qualcuno le conversazioni durano poco. Difficile capire se stia impartendo ordini o se scambi sintetiche opinioni. Non sembra a suo agio.
I grillini non danno confidenza, nonostante le lunghe e noiose votazioni iniziali per appello nominale invoglino a fare conoscenza con i vicini. Faccio un breve giro tra i loro banchi con dissimulata nonchalance (perché lo sguardo mi scivola inevitabilmente sulle spille del M5S che portano al petto come una medaglia al valore), senza il coraggio di rivolgere la parola ad alcuno, ma provando a guardarli, ad accennare timidi sorrisi, a chiedere permesso.
Restano in falange, un modo diverso di fare blocco rispetto ai berlusconiani. Non ridono, parlano solo tra loro e lo fanno poco e a bassa voce, tengono lo sguardo fisso sul loro tablet, ma sono disciplinati e non rumorosi, stanno seduti e applaudono quando il Presidente invita i senatori ad abbassare il tono della voce per non disturbare le operazioni di voto.
Perfino i (pochi) leghisti, riconoscibili dalle cravatte e dai fazzoletti verdi, sono composti e silenziosi (o forse mogi). Solo il veterano Calderoli chiede la parola per ricordare che siamo nella 17. Legislatura e che come se non bastasse le schede per la votazione sono viola. Battuta neanche male e buona per sdrammatizzare, anche se me la sarei aspettata da qualche napoletano coi cornetti (ci sono anche quelli). Una volta di più, mai fidarsi degli stereotipi.
Nel gruppo PD si distinguono nettamente i nuovi dagli esperti. I primi solitamente tengono il conto dei voti espressi, quasi come dei giudici di gara, studiano l’ambiente circostante o parlano: i timidi con chi già conoscono, gli intraprendenti anche con gli altri, qualcuno perfino con senatori di altri gruppi (c’è chi griderà immediatamente all’inciucio). Gli esperti invece parlano al telefono (rigorosamente con la mano a coprire la bocca: ecco da chi hanno imparato gli altri), entrano ed escono dall’aula, e scambiano volentieri battute, sorrisi e talvolta anche abbracci con i loro pari di altri gruppi (inciucius maximus).
Al di là delle analisi antropologiche e della ieraticità dell’aula e dei suoi velluti, risulta subito chiaro che le decisioni importanti si prendono altrove. In luoghi in cui non serve parlare al telefono con la mano sulla bocca. Luoghi ancora da scoprire, e che probabilmente non vedrò mai. Luoghi nei quali le tattiche elettorali e i (presunti) vantaggi personali o del proprio partito contano più del destino di un Paese che balla sul Titanic che affonda.
Sui numerosi televisori presenti nei corridoi e nelle sale – e presumibilmente sui computer di chi è in aula – scorre intanto la notizia del blocco delle banche a Cipro. Ma i più sembrano assai più occupati dal dilemma tra governo di scopo o governo per punti, dalle espulsioni di chi osa pensare con la sua testa, dai processi in corso nei tribunali, dalla partita di calcio che inizia, o da improbabili calcoli elettorali. Sussurrando a chissà chi le proprie ricette per telefono. Rigorosamente coprendosi la bocca con la mano