La testimonianza di Ivan Arnoldi, un imprenditore a cui «è andata male», pubblicata su queste pagine, impone certamente una riflessione. Vorrei partire da un tema che assai di rado si affronta, quello della cosiddetta «etica del fallimento». Qualche tempo fa, nel corso di un evento organizzato in Provincia sul tema della nuova imprenditorialità, abbiamo sentito un neoimprenditore trentino, proveniente dal settore della ricerca, dirci la stessa cosa, con riferimento al mercato americano.
Alberto Pacher, "L'Adige", 20 marzo 2013
Negli Usa, ha detto in sostanza, il fallimento viene visto come un evento che può accadere, che non preclude la carriera imprenditoriale, che può essere visto addirittura come un'occasione di crescita. Al punto tale che quando un giovane imprenditore chiede un prestito per avviare un'attività, è comunissimo che si senta domandare quante volte è già fallito, e se risponde «nessuna», viene guardatocon un po' di sospetto, perché significa che è proprio alle prime armi, mentre se ha dovuto già chiudere un'attività, e ora ci sta riprovando, si suppone non solo che abbia imparato qualcosa dalla sua precedente esperienza ma che sia anche sufficientemente motivato per insistere.
Da noi, siamo ancora lontani dall'aver anche solo iniziato ad assimilare questo tipo di mentalità, che premia non il successo tout court (e per quanto, ovviamente, un'impresa debba fare profitti e saper crescere sul mercato), ma in primo luogo la voglia di fare, la fiducia in se stessi e nelle proprie possibilità, la capacità di rialzarsi anche dopo qualche inevitabile caduta.
E per quanto vada riconosciuto che rispetto al passato, quando un fallimento poteva davvero marchiare un nome per più generazioni, oggigiorno le cose siano un po' cambiare, tant'è che il deficit di mentalità imprenditoriale del nostro Paese non ha impedito all'Italia e in particolare al suo Nord-est di diventare, dagli anni '80 in poi, la patria di un «miracolo» fondato in buona sostanza sulla piccola e media impresa.
Il vero problema è che alla - in qualche modo fisiologica - diffidenza nei confronti di chi è andato incontro a un fallimento si sommano oggi gli effetti di una crisi internazionale pesantissima, destinata a cambiare per sempre interi comparti del nostro tessuto produttivo, in primo luogo quello dell'edilizia, a cui apparteneva anche l'impresa del signor Arnoldi, un comparto che dà lavoro a 20.000 persone fra dipendenti e imprenditori e che genera il 13% del pil provinciale.
Penso in primo luogo che di fronte alle difficoltà che le nostre piccole imprese del settore oggi attraversano nessuno possa pensare che esse sono il frutto di manovre speculative, come quelle che hanno travolto in epoca recente realtà di ben diverse dimensioni. In questo senso, parlare di «gogna mediatica» può essere forse un poco eccessivo. Nondimento il problema c'è, eccome, e ciò che conta è: come pensiamo di affrontarlo.
Prima di accennare alle nuove risposte che intendiamo mettere in campo - lo faremo martedì 26 nel corso di quelli che abbiamo battezzato «stati generali dell'edilizia» - sarà utile forse richiamare brevemente il percorso già fatto a partire dal 2008-2009, quando venne varata la prima manovra anticrisi: più di 70 milioni di euro erogati dalla Provincia nel settore per interventi di ristrutturazione, che misero in moto complessivamente 220 milioni di euro di lavori, per 3400 interventi sostenuti.
Il problema è che all'epoca ancora si pensava di essere di fronte a una fase congiunturale. Adesso si è capito che questa è invece una crisi di tipo strutturale, che sta cambiando gli stessi elementi costitutivi del sistema. Così, assistiamo ad un calo notevolissimo della domanda privata, legato in parte a una caduta del potere d'acquisto delle famiglie, che tutti si augurano possa tornare a crescere, ma soprattutto a dinamiche interne al mercato che sono in qualche modo irreversibili.
Mi riferisco in particolare al fatto che in futuro non si costruirà più così come in passato, e che l'attenzione si sposterà sulla riqualificazione dell'esistente, ovvero sulle ristrutturazioni, sull'adozione di materiali, tecnologie, soluzioni per dare un vestito più sicuro, confortevole, e soprattutto ecocompatibile agli edifici e alle abitazioni. Con un occhio di riguardo anche ai risparmi che questi interventi, a regime, produrranno nei portafogli di chi gli edifici li abita e li gestisce.
Di questo parleremo nell'appuntamento a cui accennavo prima, assieme agli imprenditori del settore e alle rappresentanze del mondo del lavoro.
Parleremo di questo - e quindi ovviamente anche degli incentivi pubblici che possiamo mettere in campo - ma anche d'altro. Ad esempio della necessità di stringere i legami fra i vari elementi costitutivi la piattaforma produttiva, in particolare fra credito e imprese. Sappiamo che su questo terreno la strada è in salita. Il credito a livello globale attraversa una fase molto altalenante e precaria, che si riflette a cascata su chi dal credito dipende. Abbiamo già ottenuto un primo risultato, con lo stanziamento del fondo di 70 milioni di euro, attivato da alcuni istituti di credito, per il risanamento del patrimonio pubblico appartenente ai Comuni e alla Provincia.
La nostra intenzione è di rialimentarlo affinché nel 2013-2014 esso possa decollare, sia perché effettivamente il patrimonio edilizio pubblico va riqualificato, sia per le ricadute che questa partita può generare sul lavoro. Nella stessa direzione, lo sottolineo di nuovo, dobbiamo andare quando parliamo di patrimonio privato. In Trentino ci sono più di 300.000 abitazioni: è evidente che in futuro la domanda di nuove costruzioni non conoscerà più grandi impennate, mentre la scommessa sarà quella di migliorare l'esistente, conformemente anche alle normative europee.
Infine, mi permetto di aggiungere brevemente che ci attendiamo degli effetti positivi - in parte si stanno già producendo - dagli sforzi che stiamo facendo sul versante della semplificazione della burocrazia. Abbiamo recentemente approvato l'aggiornamento del Piano provinciale in materia, per rivedere, in meglio, gli obiettivi che ci eravamo posti. Ad esempio, abbiamo innalzato il tetto della riduzione delle procedure al 25%, perché avevamo già raggiunto l'obiettivo precedente, e abbiamo anche ridefinito i nuovi obiettivi di risparmio. La macchina amministrativa finora ha risposto bene, segno che anche questo «pezzo» di sistema, importantissimo in Trentino, funziona a dovere.
Sono convinto che, presi tutti assieme, gli sforzi produrranno i risultati sperati, ed è per questo che mi sento in tutta sincerità di poter dire due cose al signor Arnoldi e agli altri che si trovano nelle sue stesse condizioni: non siete soli e non smettete di coltivare le vostre ambizioni, i vostri sogni.