Se il risultato delle consultazioni elettorali dovesse essere valutato secondo le aspettative che ognuno ripone sull’esito delle urne invece che basarsi su sterili conti dei voti nei singoli seggi elettorali, bene allora non c’è dubbio che il Pd queste elezioni le ha perse. E le ha perse anche qui in Trentino. Non solo perché il risultato locale risulta inferiore a quello nazionale, che già di per sé dovrebbe costituire un campanello d’allarme, ma essenzialmente perché quello che ci si aspettava di ottenere all’inizio della campagna elettorale andava molto oltre ciò che poi abbiamo levato dalle scatole di cartone.
Thomas Deavi, Elisabetta Bozzarelli, Andrea Pradi, 14 marzo 2013
E non occorre essere un fine analista politico, non un grande scienziato dei flussi elettorali e nemmeno un attento lettore di quotidiani per capire quale sia stata la causa di questa amara disfatta: il tradimento dell’unica proposta politica seria che si era avanzata al paese alla fine dell’anno passato con le due tornate di primarie: quelle per il premier e poi quelle per i candidati parlamentari. Proposta politica che vedeva nel cambiamento, nella trasparenza delle scelte e nella partecipazione degli elettori alla costruzione del progetto di governo del Partito Democratico il vero elemento di novità dell’unica formazione che attraverso un sforzo collettivo cercava di recuperare quel minimo di credibilità che da tempo era scomparsa nel panorama politico nazionale.
Le resistenze al cambiamento hanno però avuto la meglio e si è tornati agli antichi tavolini delle trattative, alle oscure stanze dei bottoni, alle vecchie logiche di partito insomma. Lo abbiamo visto qui per le candidature nei collegi uninominali al Senato, lo abbiamo visto a Roma quando i risultati delle primarie sono stati stravolti e imbrattati per far posto ai “riservisti”, ai “derogati”, ai fedeli. Ed è per questo che siamo stati puniti nel segreto delle urne, che gli elettori non ci hanno dato la fiducia necessaria per permetterci di governare. E si aveva un bel dire che comunque le nostre liste erano le più belle, quelle con più giovani, con più donne e che comunque questo era il dato che dovevamo propagandare in campagna elettorale. Non siamo riusciti a farlo perché non ci credevamo più nemmeno noi, perché era troppo faticoso mentire agli altri mentendo per primi a noi stessi. Perché quel dato oramai era stato cancellato.
Ed allora bisogna recuperare quel messaggio che ci aveva fatto ritrovare quel consenso che l’intera classe politica aveva perso nel corso del tempo e che siamo riusciti a bruciare nell’arco di una campagna elettorale. Quel messaggio di cambiamento nelle persone ma anche nelle idee, nel modo di fare politica e nella cultura di governo che vogliamo portare avanti. Cambiamento che, ancor più ora, diventa essenziale e che ci viene sollecitato da quelle persone che hanno sempre guardato al PD con la speranza di trovare in esso qualcosa di nuovo, di diverso dagli schemi della politica tradizionale.
Dobbiamo liberarci di tutte quelle dispute interne frutto della logica delle appartenenze. Perché per candidarci seriamente a governare, c’è bisogno di apertura e di condivisione, di autonomia pensiero e soprattutto di quella libertà intellettuale che propone e dà risposte ai bisogni delle nostre comunità e del nostro territorio. Non c’è più posto per coalizionisti o anti coalizionisti, per renziani o bersaniani, per “dellaiani” o “antidellaiani”, per liberal o socialdemocratici. Perché il PD non può più essere la sommatoria delle vecchie segreterie di partito, ma deve fare del pluralismo presente al suo interno un fattore di ricchezza, per candidarsi ad essere allo stesso tempo esercizio di partecipazione e strumento di risposta politica.
Su quella risposta noi dobbiamo qualificare la nostra azione politica, su quella risposta costruire una convergenza di consensi e insieme una proposta di governo per questa Provincia. E quella risposta non può che essere fornita attraverso l’apertura al dialogo con tutti ma soprattutto con quella “società civile” verso cui troppo spesso siamo stati sordi. È ora di dire basta con le trattative coperte: il cambiamento deve avvenire sui contenuti e non sulle negoziazioni.
Crediamo quindi che anche quel passaggio di consegne relativo alla segreteria provinciale non possa affidarsi a vecchie forme e liturgie oramai consumate, ma debba avvenire nel segno della trasparenza e nella logica del superamento degli schemi delle appartenenze. Soprattutto debba essere capace di inserirsi in quel percorso di rinnovamento di persone ed idee che si era intrapreso qualche mese fa e che poi abbiamo malamente interrotto. Un passaggio che non è meramente tecnico ma ha un profondo significato politico. Le difficoltà evocate da più parti per la celebrazione di un Congresso, non possono quindi costringerci a scelte pasticciate e di compromesso, delegate ad un’assemblea che a detta di tutti ha funzionato a fasi alterne, che ratifica decisioni prese altrove, spesso in assenza del numeri per poter legittimamente deliberare. È obbligo allora fare uno sforzo collettivo per assicurare al PDT una guida transitoria che sia espressione del rinnovamento e che tuteli apertura e partecipazione quali valori fondamentali che devono guidare il cammino verso le elezioni provinciali.
Per evitare rese dei conti e letture punitive nei confronti di chicchessia sarebbe opportuno procedere ad azzerare le cariche dirigenziali del Partito a livello provinciale con la richiesta di rimessione del mandato ai principali dirigenti (Presidente, membri segreteria ecc.) ed avanzare una moratoria statutaria che permetta di individuare una persona o un gruppo di persone (anche fuori dai 64 dell’assemblea) in grado di condurre il PDT verso le elezioni provinciali assicurando al contempo apertura, trasparenza e partecipazione al processo di selezione del candidato alla presidenza (tramite primarie la cui regolazione tecnica va concordata) ed alla costruzione della proposta di governo che intendiamo avanzare nelle prossime consultazioni amministrative.
Che sia in grado di impostare quel lavoro di costruzione del Partito che in questi anni è stato delegato all’intraprendenza dei segretari di circolo ed alla passione responsabile di iscritti e militanti: con l’attivazione di percorsi “formativi” molte volte annunciati, ma mai realizzati; la “messa in rete” dei circoli tra di loro, per valorizzare e massimizzare i loro sforzi, in un’ottica di efficacia ed efficienza; dando nuovo impulso al lavoro delle commissioni tematiche, perché il loro lavoro possa finalmente fungere da base di discussione allargata e non di mero esercizio teorico.
Partecipazione e condivisione insomma dovranno finalmente diventare il “motore” del partito, gli strumenti con cui costruire in maniera informata quelle proposte politiche che ci proponiamo di realizzare nei prossimi anni. Solo così il PDT riuscirà a dare quel segnale di rinnovamento che in troppi ancora ci stanno chiedendo. Sapendo bene che qualora non fossimo in grado nemmeno ora di farlo ci sarà qualcun altro che lo farà al nostro posto.