Ho letto con interesse, sulle pagine del Corriere del Trentino, l’intervento del Professor Giovanni Pascuzzi “Certificare le competenze: una sfida”. Con la riforma del mercato del lavoro approvata nel giugno dell’anno scorso si è aperta la possibilità di attivare modalità e strumenti per il riconoscimento e la certificazione delle competenze acquisite in contesti informali o basati sull’esperienza. Di riconoscere formalmente le competenze che ognuno ha.
M. Civico, "Corriere del Trentino", 7 marzo 2013
Per questa ragione nel settembre dello scorso anno, in seguito alla approvazione della legge di riforma del mercato del lavoro, ho depositato una proposta di legge che va nella direzione del recepimento e attuazione di questa opportunità (ddl disegno di legge e relazione).
È innanzitutto necessario riconoscere che le competenze che ognuno possiede sono un bagaglio ben più ricco e complesso di quanto le certificazioni formali siano in grado di rappresentare: “l’esperienza dell’imparare” non è esclusiva dei soli contesti formali (scuola, formazione professionale, università…), ma è una dimensione potenzialmente costante e dunque presente anche in contesti informali ed esperienziali (mondo del lavoro, impegno civico, interessi ed incontri personali, …). È la stessa natura umana che immerge ognuno di noi nell’”esperienza”,impegnandoci nel processo di costante elaborazione dei “fatti” della vita quotidiana.
La sfida sottesa a questa semplice constatazione non è affatto banale ed è sintetizzabile nella dialettica tra le parole “esperienza”e “competenza”: i due termini non sono sinonimi, ma neppure in contraddizione.
Perché possa essere “apprendimento”, l’esperienza ha bisogno di non essere frugale e parcellizzata, ma lenta ed approfondita. E questo, nel nostro tempo affollato e veloce, può non essere sempre scontato. Contemporaneamente la costruzione della competenza dovrebbe poter diventare meno rigida e formale, più aperta ed integrata. E su questo fronte, nel mondo della formazione, mi pare che vi siano alcune riflessioni e buone pratiche in atto che vanno sostenute e promosse con convinzione.
La questione della validazione e certificazione delle competenze (formali, informali e non-formali) non è dunque solo aspetto tecnico, formale o normativo, ma comporta inevitabilmente una sfida maggiore: quella di considerare l’apprendimento permanente una dimensione presente ed intenzionale, in grado di qualificare il tempo di ognuno.
Il compito che ci attende è dunque appassionante: riuscire a definire modalità, strumenti e luoghi per il riconoscimento dei saperi acquisiti nell’esperienza e nell’informalità, senza perdere di vista l’orizzonte di senso verso cui ci stiamo muovendo.