F. Gottardi, "L'Adige", 29 aprile 2009 «La novità sono io. Non sono nè Dellai nè Pacher. Sono Alessandro Andreatta e credo di avere una mia autonomia, un mio approccio, una mia modalità di rapporto con le persone».
Risponde così il candidato sindaco del centrosinistra alle obiezioni di Pino Morandini, che chiede il voto per portare aria nuova in Comune. «L'alternanza può anche essere un valore - aggiunge Andreatta - ma di per sè il cambiamento non è sintomo di una città o una politica migliore. Dipende dagli obbiettivi, dalle persone, dalla determinazione e concretezza». Ma chi è e da dove arriva l'uomo che ambisce a prendere il posto di Dellai e Pacher nell'ufficio al secondo piano di palazzo Geremia? Nasce a Trento 52 anni fa, da una famiglia semplice e unita, legata ai valori cattolici. È il primo di tre figli maschi. Abita in centro, prima in via Travai, poi in vicolo Madruzzo e infine in vicolo del Nuoto, dove ancor oggi risiede. Il papà, Albino, lavora per oltre quarant'anni come commesso prima al Garbari e poi al Sait. La mamma, Valeria Cadonna, si dedica alla cura dei figli al volontariato. Da piccolo è un bambino vivace con una grande passione per il pallone e il gioco delle «scudelete», con cui passa i pomeriggi assieme ai coetanei nel quartiere. Dopo le elementari alle Verdi, allora nella sede che oggi ospita la facoltà di sociologia, e le medie alle Bresadola si iscrive al liceo classico Prati. Per mantenersi agli studi a fine estate va a raccogliere mele. Negli anni delle superiori inizia anche l'impegno sociale. È tra i promotori del circolo Erre, esperienza di educazione ai mass media. Ma l'incontro più importante per il futuro impegno politico è quello con l'allora responsabile dell'ufficio scuola della Dc Antonio a Beccara e il gruppo don Milani. Qui incontra parte della futura classe dirigente del Trentino come Dellai, Kessler, Lunelli. «Non eravamo intruppati in un partito ma discutevamo e riflettevamo a largo raggio. Un'esperienza che mi ha spalancato gli orizzonti» ricorda Andreatta. Finito il Prati si trasferisce a Padova per l'università. Qui risiede nel collegio don Mazza, luogo ricco di proposte culturali e di iniziative. «Avevamo a disposizione tutti i giornali, dall'Osservatore romano fino al Manifesto». Si laurea in Lettere moderne e tornato a Trento inizia la carriera di insegnante al liceo scientifico dell'Arcivescovile. La politica militante arriva nel 1995 con la candidatura nei Democratici popolari. A proporgliela è un suo ex alunno: Andrea Rudari. Entra in consiglio comunale e diventa presidente della commissione cultura e istruzione. Ma il salto di qualità arriva nell'ottobre del '98, quando un'ora prima di dimettersi da sindaco per candidarsi alle provinciali Lorenzo Dellai gli assegna l'incarico di assessore all'urbanistica e all'ambiente. Un ruolo che Alberto Pacher gli confermerà attribuendogli anche l'incarico di vice sindaco, mantenuto fino ad oggi. In questi anni la mappa della città, attuale e futura, è cambiata. È stata definita la partita ex Michelin, è arrivato l'architetto Busquets a tracciare le linee guida della Trento del terzo millennio, con il boulevard, l'interramento della ferrovia, i corridoi ambientali. Sono state fatte varianti per opere pubbliche e una variante generale che ha coinvolto centinaia di persone impegnando l'amministrazione per quasi tre anni. Un lavoro in cui Andreatta si è gettato a capofitto, incappando anche in qualche infortunio. Due su tutti: il muro Cavit e il caso Auto In. Il primo un clamoroso errore, peraltro condiviso con gran parte del consiglio comunale, su cui è riuscito a mettere una pezza. La seconda più che altro un'ingenuità, da cui è uscito pulito dal punto di vista giudiziario ma che gli ha provocato più di un'amarezza. Vicende che non hanno comunque intaccato l'energia e l'impegno con cui da assessore ha sempre affrontato il suo lavoro. Andreatta è famoso tra i giornalisti ma anche tra i colleghi di giunta per essere una trottola in continuo movimento, a cui risulta spesso difficile strappare qualche minuto di attenzione durante la giornata. Energia da vendere nonostante da dieci anni sia costretto a convivere con un diabete che lo costringe a quotidiane iniezioni di insulina. Una voglia di fare che fa parte del carattere ma anche di una filosofia di vita: «Non mi piace dormire tanto la mattina, non mi piacciono le pennichelle. Io divido le persone in due categorie: quelle che si mettono a disposizione e quelle che si fanno servire. E tra i primi ci si capisce perché si vedono nella loro azione passione, generosità, impegno, attenzione, voglia di ascoltare. È una distinzione che viene prima di qualsiasi appartenenza e che ho iniziato a notare a 16 anni, quando ho iniziato a fare l'animatore in oratorio». L'oratorio, l'impegno ecclesiale, i gruppi famiglia. La fede religiosa è parte di Andreatta e della sua vita. Un aspetto che però assicura di voler tenere ben distinto dall'impegno politico. «Io agisco pienamente da laico e distinguo nettamente tra i due piani, anche se ovviamente quando si lavora su temi come la pace, il dialogo, la convivenza si possono trovare convergenze importanti anche con l'azione della Chiesa» spiega. Nessuna sudditanza nei confronti di piazza Fiera dunque, ma neanche nei confronti di piazza Dante. Andreatta ricorda tra l'altro di aver detto no all'ampliamento dell'aeroporto, all'inceneritore da 340 mila tonnellate, a certi contenuti del Piano urbanistico provinciale. Uno dei cavalli di battaglia durante questa campagna elettorale è quello della partecipazione e del confronto, l'apertura alla gente e anche all'opposizione («rappresenta una fetta di città»). Come conciliare però tutto ciò con la necessità di rapidità e concretezza nelle decisioni? «Qui - risponde Andreatta - sta la capacità di un politico di capire se il confronto democratico è arrivato a un punto tale da aver sviscerato un tema. A quel punto è importante decidere senza tentennamenti e con coraggio. La gente ci chiede di lavorare assieme ma poi di trovare le soluzioni adatte e credo che il mio modo di fare politica punti proprio a questo».
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