Il nuovo carcere di Spini di Gardolo, inaugurato nel febbraio del 2011, è costato alla Provincia 112,5 milioni di euro. Un carcere modello, di nuova concezione, se non fosse che, come sta evidenziando l’inchiesta del Trentino, è già sovraffollato e con meno personale rispetto a quanto necessario e previsto. Nonostante l’accordo di programma quadro tra Provincia e governo sia molto preciso al riguardo. Mattia Civico, consigliere provinciale del Pd, che di questo tema si occupa da tempo, non ci sta.
P. Piffer, "Trentino", 20 febbraio 2013
«Oggettivamente - attacca - il sovraffollamento porta ad una vivibilità interna molto più ridotta. Riducendosi gli spazi la situazione in cui sono costretti a vivere i detenuti non è certo delle più facili. Ricordiamoci che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato l’Italia per le condizioni delle sue carceri».
Appunto, è una situazione generale. E perché? Perché la legge Giovanardi-Fini prevede che si finisca in carcere anche in attesa di giudizio e per reati legati alla piccola detenzione di stupefacenti. A Trento il 60% dei detenuti è dentro sulla base di queste due condizioni. Non è possibile.
Quindi? E’ necessario cambiare la legge. E prevedere misure di recupero alla legalità diverse dalla detenzione, alternative al carcere. In galera ci deve stare chi ha commesso reati gravi ed è pericoloso per la società.
Ma c’è anche un problema di rapporti Stato-Provincia. L’accordo prevede che i detenuti siano non più di 240. E ce ne sono quasi 300. La Provincia ha fatto un grosso investimento per garantire condizioni di vivibilità ai detenuti. Ed è innegabile che a tutto ciò non corrisponde il rispetto dell’accordo. Non c’è dubbio che la Provincia debba richiamare lo Stato a rispettare i patti.
Seguendo quali strade? Ad esempio richiedendo con forza che ci sia una direzione definitiva. Dopo la rimozione, più di un anno fa, di Antonella Forgione, si sono succedute direzioni a scavalco e part time, prima dal Friuli, poi da Padova, adesso da Bolzano. In questo modo non c’è una regia complessiva che governa la struttura in tutti i suoi aspetti.
Se la situazione di precarietà si protraesse, è a rischio la possibilità del recupero del detenuto? E’ un dettato costituzionale che la pena sia orientata al recupero. Se non ci sono progetti seri e il ricorso a misure alternative il rischio c’è. Ora il carcere di Trento è un luogo isolato con rapporti con l’esterno fragili e non strutturati.
E la politica trentina che può fare? Non avere paura. Decidere che queste persone fanno parte della nostra comunità, che è necessario investire in percorsi di inserimento lavorativo e sociale. Perché, in questo modo, possiamo recuperare alla legalità molti individui ed evitare che tornino a delinquere.
Concretamente. Istituire il garante dei detenuti, figura fondamentale per adottare buone pratiche di reintegro lavorativo e sociale. E poi passare dallo Stato alla Provincia la competenza socio-trattamentale. Il carcere non può essere una sorta di discarica umana di cui disinteressarsi.