La mia prima tessera delle Acli risale al 1972. Venivo dall'esperienza dei gruppi giovanili di area cattolica, impegnati, sull'onda dell'entusiasmo post conciliare, a trovare e testimoniare nuove forme di presenza e di partecipazione dei credenti alla vita della chiesa, nella società, nella politica. Si chiamavano gruppi spontanei per il loro nascere, e sciogliersi anche, senza formalità, intorno a centri di interesse, ad appartenenze territoriali, a piccole riviste.
Maurizio Agostini, "L'Adige", 17 gennaio 2013
Poi in molti maturò un po' alla volta l'esigenza di entrare in organizzazioni più strutturate, capaci di dare più continuità e concretezza alle azioni che si mettevano in campo. E ci fu chi si impegnò nel sindacato, chi nei partiti (non più in uno solo) chi in associazioni di categoria o di volontariato. Io mi iscrissi alle Acli, che in un Congresso di quegli anni avevano sancito la fine del collateralismo con la Democrazia Cristiana per inaugurare la stagione del pluralismo politico dei cattolici. Era il terreno su cui si misurava e si sperimentava direttamente la grande questione, tutt'ora irrisolta, della laicità.
Della possibilità di coniugare una comune ispirazione di fede, alimentata dal confronto nella comunità cristiana e con la parola di Dio, con l'esercizio di una piena libertà di pensiero e di azione.
Accettando naturalmente, come in effetti accade, che in questa elaborazione le soluzioni individuate e le scelte personali possano trovare anche tra i cattolici idee e posizioni diverse.
Sul piano strettamente politico ciò ha voluto dire che i cattolici, e gli aclisti, si trovarono a militare, o a dare il loro consenso, in modo più largo che in passato, a formazioni politiche diverse.
Qualcuno continua a giudicare questo fatto come un impoverimento e una perdita di forza, altri, come me, lo ritengono un segnale di ricchezza e di possibile maggior fecondità nei confronti della realtà in evoluzione e delle sue sfide.
In ogni caso la prassi delle Acli cercò da allora di rispettare nei momenti elettorali il pluralismo delle scelte degli associati, evitando di coinvolgere il movimento con le scelte delle singole persone senza rinunciare, anzi tutt'altro, a indicare le questioni prioritarie e i grandi temi da affrontare. E senza rinunciare, anche, a tracciare a grandi linee delle indicazioni di compatibilità del pensiero aclista che non lasciassero sospettare posizioni di equidistanza assoluta né di antipolitica.
Per questo capivo e apprezzavo che, sia a livello nazionale che locale, le Acli, di fronte alle derive populiste e di egoismo sociale dei nostri centrodestra, indicassero la vasta area delle forze di centrosinistra come quella cui rivolgere con più fiducia ed esigente attenzione la nostra speranza. Poi ho visto il presidente nazionale Olivero, proprio in questa sua veste di presidente Acli, partecipare assiduamente alla formazione e promozione di una lista politica, dimettendosi dalla carica solo a candidatura già decisa e, negli ultimi giorni, ho letto due volte sull'Adige che Fabio Pipinato era «indicato» dalle Acli per la lista Monti. Ho atteso dal movimento una smentita che, se non mi è sfuggita, non ho visto. Non cercavo, sia chiaro, una presa di distanza, si tratta di scelte del tutto legittime ancorché commentabili e criticabili, che possono certamente essere lette nel grande alveo politico di un centrosinistra in formazione, ma a me è sembrato un venir meno di attenzione al rispetto del pluralismo, tema sul quale è bene non abbassare mai la guardia.