La riforma trentina del commercio non affronta certo la sola questione della liberalizzazione degli orari e delle aperture, di cui si occupa la cronaca in questi giorni. La sua portata innovativa è piuttosto da individuarsi nel rapporto che la legge ha voluto stabilire tra sviluppo della rete commerciale e programmazione territoriale.
Alessandro Olivi, "Corriere del Trentino", 11 gennaio 2013
Proprio su questo tema, a nome della Provincia autonoma di Trento, sono stato invitato ieri a concludere i lavori di un importante convegno nazionale che si è tenuto al Politecnico di Torino sul tema “Territorio, paesaggio e commercio in Trentino”.
Fin dai primi mesi della corrente legislatura e a quasi 10 anni dall’ultima revisione organica della materia, abbiamo infatti impostato un progetto di riforma della disciplina del commercio che sapesse coniugare competitività del settore e sostenibilità sociale. Questo è avvenuto con l'approvazione della legge n.17 del 2010 i cui obiettivi principali sono quelli di valorizzare la rete delle piccole e medie imprese e le vocazioni territoriali, favorire lo sviluppo di nuovi format e difendere la qualità del lavoro.
Ci siamo mossi partendo dalla consapevolezza che il commercio offre opportunità economiche e, insieme, esprime una sua funzione sociale. Per questo sono state promosse politiche in favore dei centri storici e della rete dei piccoli negozi nelle aree svantaggiate nonché misure coerenti nella programmazione dello sviluppo delle nuove strutture di vendita che si propongono di contenere l’impatto immobiliare e di valorizzare maggiormente il patrimonio edilizio esistente.
Con la riforma il Trentino si sta infatti dotando di un nuovo impianto di regole che, pur rispettando i principi della libertà di impresa e della concorrenza, non rinuncia a presidiare la qualità del tessuto sociale ed economico. In un territorio dall'orografia complessa e con caratteristiche sociali ed economiche tipiche delle aree di montagna e di confine, anche i piccoli punti vendita vanno aiutati a sopravvivere. Ricordo da questo punto di vista che dal 1998 la Provincia ha finanziato quasi 500 interventi con circa 19 milioni di euro di investimento per rafforzare la rete dei piccoli negozi di periferia, i cosiddetti esercizi Multiservizi, risorse fondamentali per il territorio, perché rendono effettivi i diritti di cittadinanza attraverso una più facile accessibilità ai servizi primari.
Per la valorizzazione dei centri storici abbiamo varato degli strumenti ad hoc. Al loro interno potranno insediarsi anche imprese commerciali di dimensioni più consistenti, in deroga ai criteri urbanistici più selettivi e stringenti adottati invece per limitare, al di fuori di essi, l’ulteriore consumo di territorio e fenomeni distorsivi dal punto di vista della speculazione immobiliare. La liberalizzazione introdotta dalla legge intende favorire attraverso l’utilizzo dei volumi esistenti l’attrattività dei centri storici ivi calamitando nuovi investimenti.
Al tempo stesso però vogliamo introdurre scelte innovative capaci di offrire agli operatori strumenti in grado di rispondere ai cambiamenti in atto. Sotto questo profilo anche le nostre città possono valorizzare nuove sofisticate proposte di insediamento in grado di qualificarne la fisionomia urbana.
L’obiettivo è quello di passare da meccanismi di programmazione fondati sul solo rispetto di soglie quantitative, sulla base di un presunto equilibrio tra domanda e offerta, a scelte in grado di elevare gli standard qualitativi: maggiore integrazione con il turismo, migliori pratiche di progettazione delle strutture, coerente inserimento urbanistico ed edilizio.
In quest’ottica dobbiamo interpretare l’affermarsi di nuove tendenze e stili del consumo. In particolare , anche per effetto della fase economica recessiva, è infatti in atto una trasformazione nella configurazione della rete distributiva per cui la grande piastra monofunzionale non rappresenta più la proposta commerciale prevalente.
Anche gli sviluppatori commerciali sono alla ricerca, coerentemente con i mutamenti dei bisogni e del mercato, di soluzioni innovative, tra le quali possiamo individuarne alcune che riguardano: il rapporto con il contesto urbano, il riuso di manufatti industriali, l’accessibilità delle strutture, la multidimensionalità e la multisettorialità del sistema commerciale, la progettazione di volumi a basso impatto ambientale e energetico.
Certo, costruire un distretto commerciale che si caratterizzi per requisiti di qualità e di tipicità, significa prima di tutto coinvolgere in questa sfida non solo le istituzioni pubbliche ma soprattutto gli attori che, sul campo, devono dare corpo a questo progetto. Mi riferisco alle imprese, prima di tutto.
La riforma deve essere interpretata e condivisa dagli operatori. C’è bisogno di una forte consapevolezza sulla valenza strategica che proprio il commercio può e deve avere nel qualificare una proposta coerente di crescita e sviluppo del territorio. Sino ad ora il commercio si è proposto come una categoria spesso frammentata e capace di sviluppare poca coesione. Il modello trentino , ieri sottoposto all’interessata attenzione di studiosi ed esperti di tutta Italia, vuole dimostrare come anche il processo di liberalizzazione in atto ha bisogno di alcune regole poste a presidio del pluralismo distributivo e di alcuni interessi generali che debbono prevalere sulla mera logica del business: la tutela dell’ambiente e la qualità del lavoro.
Diversamente il rischio é quello di una indistinta omologazione che finirà paradossalmente per penalizzare la concorrenza anziché tutelarla. Infatti senza una pianificazione orientata alla qualità saranno prevalentemente le piccole e medie imprese a soccombere. Proprio per questo la riforma ha inteso e vuole perseguire un modello di proposta commerciale in grado di fare emergere le vocazioni e gli elementi di tipicità del nostro territorio.