«Al Trentino serve oggi un gioco di squadra con Nicoletti e Dellai alla Camera, Tonini al Senato e Ale Pacher alla presidenza della Provincia. Se Tonini, invece, verrà rifiutato a Trento dalla base del Pd, nella logica neocomunista e integralista che il nemico è chi sta più vicino a noi e non il centrodestra populista, e non si farà l'accordo di coalizione sul Senato, si spaccherà quanto è stato costruito negli ultimi 10-15 anni e diventerà difficile poi un'alleanza per le provinciali di ottobre».
L. Patruno, "L'Adige", 10 gennaio 2013
Il politologo Sergio Fabbrini, direttore della School of Government dell'Università Luiss di Roma, e per anni professore dell'ateneo trentino, ritiene cruciale e gravida di conseguenze la scelta che il Pd trentino si trova a fare in queste ore su come presentarsi al Senato e sul nome di Giorgio Tonini, indicato come candidato senatore dalla direzione nazionale del partito.
Professore Fabbrini, dove porterà questa campagna elettorale?
In campagna elettorale si prefigura lo scenario post-elettorale. E questa campagna elettorale è caratterizzata da grande confusione ed è preoccupante.
A cosa è dovuta la confusione?
In un'elezione è indispensabile un giudizio retrospettivo sulle esperienze politiche precedenti, altrimenti non riusciremo mai a emanciparci da una visione ideologica della politica. Questa dovrebbe essere l'occasione per dare un giudizio sul governo di centrodestra che ha governato dal 2008 al 2011 e prima dal 2001 al 2006. Il mio giudizio, ma è solo la mia opinione, è che è stato un governo da bocciare sul piano delle politiche pubbliche, ma anche della moralità pubblica e della reputazione internazionale. Se Monti e Bersani tenessero fisso che il «nodo» di queste elezioni è dare un giudizio al centrodestra, allora non si avrebbe una competizione in cui Pd e Pdl sono equidistanti, ma tra due diverse opzioni al governo di centrodestra.
Non è però quello che sta accadendo.
No, oggi vedo un tentativo di Monti e della Scelta Civica di cercare una posizione di equidistanza fra destra e sinistra come se ci trovassimo in un sistema multipartitico tradizionale che poi è il progetto voluto da sempre dall'Udc di Casini. Questo è un paradosso. Monti è stato un protagonista nell'europeizzare le politiche pubbliche italiane e poi sul piano politico-istituzionale conserva il vecchio sistema politico proporzionale da Prima Repubblica. Noi non potremo mai risanare questo paese e portarlo in Europa se non lo accompagniamo con un adeguato sistema istituzionale.
Monti secondo lei ha fatto male a «salire» in politica?
Monti ha fatto bene se avesse una chiara strategia e non può essere occupare uno spazio tra sinistra e destra, ma sostituire la destra. Il problema italiano è quello di non avere una destra dignitosa e accettabile nella famiglia delle destre europee. Per questo deve dimostrare di essere alternativo a Berlusconi. Ma se Monti mette in gioco la sua reputazione e credibilità per rafforzare un centro italiano che ha reso complicato il funzionamento di una democrazia competitiva, secondo me sbaglia strada. Nel breve periodo, comunque, non mi stupisco che faccia proprie le posizioni di un centrosinistra moderato e che uomini come Lorenzo Dellai o Pietro Ichino confluiscano su Monti, perché queste posizioni non avevano ospitalità nella sinistra. Ma nel medio periodo, dovrebbero trovare collocazione in una sinistra più aperta.
Se Monti e Bersani sono entrambi alternativi al centrodestra, dovrebbero puntare a governare insieme?
Mi ha colpito quando Monti ha detto che non si vede ministro dell'economia in un governo di sinistra, come se non si rendesse conto che in democrazia i voti contano. Le due agende non coincidono, perché esprimono due visioni diverse, ma possono camminare insieme. L'agenda Bersani è principalmente la redistribuzione e mira attraverso la fiscalità a trasferire risorse da ceti che hanno a ceti che hanno meno. L'agenda Monti è un'agenda dell'apertura: liberalizzazione dei servizi, delle professioni, dei mercati. È indispensabile un incontro tra queste due agende forse anche per più di una legislatura. Sono stupito e molto severo sul fatto che Bersani abbia fatto fuori la componente più liberal del partito e mi auguro che non sia così autodistruttivo da negare al Trentino la possibilità di rappresentare un modello alternativo. La candidatura di Giorgio Tonini è indispensabile.
È favorevole all'accordo unitario tra il Pd e il montiano Dellai sul Senato?
Certo. In questa fase i Dellai e i Tonini sono indispensabili per moderare coloro che saranno i futuri collaboratori. Monti e Bersani devono colpire insieme Berlusconi, non colpirsi tra di loro, se no Berlusconi aumenterà sempre di più il suo consenso. Si deve rivedere subito il paradigma della campagna elettorale. Da Trento deve arrivare il segnale che le due agende sono diverse ma compatibili.
Una rottura oggi sul Senato pensa che avrebbe conseguenze sulla coalizione provinciale?
Sì, senza l'accordo e Tonini si tornerebbe indietro di 15 anni e si riproporrebbe un Pd con istinti neocomunisti e cattolico-integralisti. Serve una sperimentazione innovativa che riesca a tenere dentro l'Upt di Dellai. E va chiarito subito anche che per ottobre non sono molte le persone che possono dare continuità al progetto politico.
Chi vedrebbe bene come candidato presidente della Provincia?
Io vedo una sola persona che è Ale Pacher. Inviterei la società civile trentina e i leader di partito a chiedere a Pacher di ripensarci, perché i leader fanno la differenza, specie in una comunità piccola come quella trentina. Serve un leader inclusivo. E mi auguro che questi 10 mesi di reggenza di Pacher permettano di individuare la squadra. Il Trentino è un Land, una Comunità autonoma, non ci si può improvvisare, non è sufficiente essere stato sindaco o difensore civico, bisogna avere esperienze di governo. Eviterei dunque gelosie e ambizioni personali. A Pacher dovrebbe essere richiesto di non rinunciare.
È stallo tra Svp e Pd su Bolzano
Si sta rivelando più difficile del previsto l'intesa su Camera e Senato tra il Pd e la Svp, che porta con sè anche l'accordo con il Patt. A bloccare la firma dell'accordo di coalizione è la definizione del nome del candidato nel collegio senatoriale di Bolzano-Bassa Atesina. Dopo tre elezioni politiche di seguito in cui il centrosinistra ha sostenuto l'elezione di un candidato Svp, questa volta il Pd chiede alla Volkspartei di cedere il posto anche perché è proprio grazie all'apparentamento sulla Camera con la coalizione data per vincente la Svp, di questi tempi in calo di consensi, può sperare di ottenere 3 o forze 4 deputati. Ieri, L'incontro a Roma tra i segretari del Pd e della Svp, Pier Luigi Bersani e Richard Theiner, si è concluso con un nulla di fatto. La Svp insiste sulla candidatura del deputato Siegfried Brugger, mentre il Pd propone il suo segretario provinciale Antonio Frena. Ma non solo. Dopo le proteste del segretario del Pd del Trentino, Michele Nicoletti, per il trattamento ricevuto sulla lista per la Camera, che vede nei primi tre posti un solo trentino, ieri il capolista Gianclaudio Bressa, «registra» delle trattative con la Svp, è stato investito del problema e sollecitato a trovare una soluzione magari convincendo la Svp a sostenere Luisa Gnecchi come candidato al Senato sulla Bassa Atesina, se non lo stesso Bressa. Questo permetterebbe di fare risalire al terzo posto la renziana Elisa Filippi, la donna più votata alle primarie.
Ieri Bressa e Migliavacca hanno parlato a lungo con i rappresentanti della Svp che però tengono duro. Per il Pd l'accordo è importante perché vuol dire assicurarsi il voto di 4 senatori in più (tre Svp e uno Patt) e se allargato all'Upt con l'impegno a sostenere un governo di centrosinistra si arriva ad almeno 6 senatori, che il Pd non riuscirebbe mai ad avere se corresse da solo. E proprio il Senato, si sa, sarà decisivo per determinare la maggioranza. La Svp gioca dunque su questo fatto e resiste. «Sono convinto che alla fine il candidato per la mia successione sarà Siegfried Brugger». Ha commentato il senatore Svp Oskar Peterlini. Per questa sera è stata convocata una riunione straordinaria del direttivo della Svp per valutare la situazione.
In attesa di notizie resta bloccata anche la trattativa tra le forze del centrosinistra trentino per la spartizione dei tre collegi fra Pd, Patt e Upt. Il Pd si sentirebbe sottorappresentato con un solo senatore su 6 collegi regionali. C'è poi il problema del nome del candidato. La direzione nazionale del Pd ha indicato il senatore Giorgio Tonini, presidente del Pd trentino, che si è rimesso alla volontà del Pd locale. Questa sera si terrà un'assemblea provinciale del Pd proprio per discutere di questa candidatura e della situazione generale.
Intanto, Elisa Filippi non si perde d'animo ed incita i suoi sostenitori a continuare a sostenerla. Il segretario Nicoletti si dice convinto che: «Il Pd riuscirà a fare quattro deputati, a Roma ne sono convinti».