Ho trovato stimolanti le considerazioni del prof. Giovanni Pascuzzi, pubblicate da questo giornale nei giorni scorsi sul tema del modello di governance auspicabile per il futuro del Trentino, e al riguardo vorrei aggiungere le seguenti riflessioni.Alessandro Olivi, "Corriere del Trentino", 9 dicembre 2012
Ci sono tre cose che emergono dal contributo del professore che mi sento di condividere senza riserve: a) «fare sistema» è un obiettivo che implica un forte protagonismo di tutte le parti vive della società, e non un rigurgito di dirigismo; b) le risorse dell’autonomia non vanno impiegate per creare privilegi a favore di singole categorie di cittadini e operatori, ma per sostenere una crescita diffusa ed equa di tutto il sistema locale; c) la presenza pubblica deve essere modulata secondo le potenzialità del sistema e deve quindi tendenzialmente ridursi, in relazione alla crescente maturità del tessuto sociale e imprenditoriale.
A queste conclusioni ritengo peraltro si possa pervenire attraverso un ragionamento complessivo che vorrei soprattutto dedicare alla questione prioritaria del ruolo del pubblico nel sostegno alla crescita economica e all’equità sociale.
La pubblica amministrazione dispone di tre modi per conseguire i propri obiettivi: fare, imporre o incoraggiare. Sul dosaggio delle tre opzioni si dibatte da sempre e si differenziano le opzioni politiche. L’epoca del «fare», che caratterizzò gli anni sessanta con la forte espansione dei servizi pubblici e delle imprese di Stato, è tramontata.
L’alternativa della coercizione normativa («imporre», inteso anche come «autorizzare»), che appartiene all’idea stessa di Stato, è tanto invocata quanto poco amata. La società civile alimenta una domanda incessante, pur non sempre consapevole, di regole e di controlli - si veda il recente dibattito sulle liberalizzazioni - salvo scoprirne poi l’inevitabile impatto regolamentare-burocratico.
Lo stesso avviene per gli aiuti alle imprese, cinturati dalla normativa europea come espressioni impure della politica nazionale, ma oggetto di una costante pressione da parte di una vasta rappresentanza di interessi, con i posti di lavoro presi in ostaggio delle inefficienze del mercato.
Il fatto è che, in questa sorta di «tutti contro tutto», molte intuibili ragioni (a partire dall’esistenza di enormi apparati) tendono a cristallizzare le forme e le dimensioni dell’intervento pubblico, il quale dovrebbe al contrario continuamente modificarsi in relazione all’evolversi della maturità del sistema economico-sociale. Il settore pubblico dovrebbe esercitare una funzione vicaria della società civile, creando giorno dopo giorno i presupposti della propria inutilità futura. Interventi diretti e atti di comando dovrebbero sempre più digradare verso azioni di stimolo dell’attività privata e del cosiddetto «terzo settore», focalizzandosi sui cosiddetti «fallimenti del mercato», per dare stabilità allo sviluppo (investimenti) e distribuirne equamente i benefici (welfare).
Immagino dunque un’idea di governo che, grazie a una società in continua evoluzione, viene perseguita per via indiretta, attraverso azioni che stimolino le energie migliori a mettersi in gioco e aiutino le competitività latenti di un territorio ad emergere.
Per rimanere nell’ambito delle mie attuali competenze penso ad aiuti alle imprese che siano selezionati in modo da prevenire l’assistenzialismo e l’inefficienza, e quindi abbiano una funzione sussidiaria rispetto all’autopropulsione del corpo sociale.
La recente riforma degli incentivi alle imprese, maturata a seguito di un’intensa concertazione con le parti sociali, cerca di interpretare questo ruolo sussidiario dell’azione pubblica, puntando sull’affermazione di aziende innovative, sulla nuova imprenditorialità, sulle reti d’impresa e su una maggiore apertura internazionale della nostra economia.
Una riforma che ha anche introdotto nuovi meccanismi che mirano alla condivisione degli obiettivi strategici tra le parti sociali (vedi la procedura negoziale per la erogazione degli aiuti di maggiore entità) al fine di poter valutare gli effetti dei progetti di investimento sull’occupazione.
Un esempio dell’operato della Provincia quale soggetto che stimola i protagonisti della comunità economica e le rappresentanze sociali a condividere una progettualità comune per far crescere la competività e la produttività del sistema trentino anche quali presupposti per garantire equità e coesione sociale lo troviamo nel protocollo sottoscritto il 5 dicembre scorso tra la giunta e le parti sociali.
Le agevolazioni Irap per la produttività, le integrate misure per favorire l’accesso al credito delle imprese e l’attivazione dei nuovi ammortizzatori sociali postulano un rinnovato paradigma di collaborazione tra pubblico e privato, una sorta di patto attraverso il quale non si erogano benefici generalizzati ma si creano le condizioni affinché l’intervento pubblico non sia sostitutivo rispetto al protagonismo delle parti ma anzi ne stimoli una rinnovata responsabilità.
Non sussiste dunque alcun dubbio sulla possibilità che il Trentino esca dalla difficile congiuntura economica soltanto mettendo in rete tutti gli attori del territorio.
Davanti a noi abbiamo una sfida: promuovere un sistema al tempo stesso competitivo e inclusivo, nonostante il forte contenimento della spesa pubblica. Per vincere questa sfida, dobbiamo, come ho detto, modificare profondamente l’articolazione dei servizi pubblici, incoraggiando le multiformi espressioni del «privato»: due poli dello sviluppo, il pubblico e la società civile, che si devono fertilizzare a vicenda.
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