Produttività: una sfida riformista

Ha ragione il Direttore Giovanetti nell’individuare in un rinnovato patto per la produttività una delle strade obbligate per far ritornare l’Italia a crescere. E condivido pure che le parti sociali non possano chiamarsi fuori da questa comune sfida, ossia affrontare con responsabilità e consapevolezza i nodi irrisolti dell’inefficienza del sistema economico che come tali bloccano la competitività del sistema Paese. Occorre però a mio avviso riflettere sul significato più ampio del concetto di produttività.
Alessandro Olivi, 30 novembre 2012

Quest’ultima non riguarda infatti solo le dinamiche interne alle singole aziende.

Contribuiscono infatti a creare il differenziale competitivo di un territorio le qualità delle infrastrutture, del sistema scolastico e formativo, della ricerca, oltre all’efficienza della Pubblica Amministrazione.

In assenza di queste precondizioni è difficile e forse anche ingiusto chiedere solo alle imprese e al mondo del lavoro un impegno per la crescita.

Ebbene sotto questo profilo ritengo che il Trentino possa contare oggi su un’ambientalità complessivamente favorevole a sperimentare soluzioni innovative per migliorare il rendimento dei fattori produttivi della propria piattaforma economica.

Di certo non ci sarà futuro per la nostra economia se non riusciremo ad invertire un trend negativo secondo il quale negli ultimi quindici anni anche in Trentino la produttività è cresciuta in maniera inadeguata arrivando a diminuire nel biennio 2008-2009.

La crisi ha infatti fatto deflagrare gli elementi di debolezza del sistema provocando una contrazione delle retribuzioni reali, dei consumi e della redditività delle imprese.

E’ una consolazione non secondaria, ma nemmeno sufficiente, constatare che la produttività risulti in Trentino più elevata rispetto al contesto nazionale ed anche alle stesse regioni del nord-est perché l’appiattirsi di questo indice, comportando una perdita di competitività del sistema locale, mette a repentaglio redditi ed occupazione.

Il rimedio a questa perdurante situazione di stagnazione non può rinvenirsi che nel miglioramento qualitativo del nostro apparato produttivo, reso possibile a sua volta solo accelerando gli investimenti in innovazione.

L’innovazione, appunto.

Questa è spesso vista come il simbolo di una netta contrapposizione tra antico e moderno, tra conservazione e modernità.

Si tratta in realtà di un concetto vecchio quasi come il mondo perchè una delle poche cose certe, al mondo, è proprio il cambiamento.

Lo teorizzava già Eraclito: “nessuno può immergersi due volte nello stesso fiume”. Era il 500 a.C.!!

Molti bisticci derivanti da questo abusato termine potrebbero essere superati ricorrendo al più naturale dei sinonimi: “qualità”.

Chi fa qualità fa anche innovazione.

E’ dunque fondamentale favorire la produttività del sistema pensando ad un Trentino come distretto della conoscenza, favorendo la contaminazione tra ricerca, agenzie informative, università, politica, istituzioni ed impresa.

E’ una visione che stiamo traducendo in concreti atti di governo: gli incentivi alle aziende recentemente riformati si focalizzano infatti sull’innovazione, l’internazionalizzazione, l’interconnessione delle imprese, la promozione di nuove imprese costituite da giovani.

Veniamo però al nodo cruciale della produttività del lavoro, intesa come rapporto tra il prodotto e le risorse umane impiegate per realizzarlo.

Prima di tutto occorre non dimenticare che la produttività è sempre un rapporto, una frazione con un numeratore ed un denominatore: si da forse troppo per scontato che per incrementare il valore si aumenti il numeratore, cioè il prodotto, ma specie in un periodo di crisi è molto più facile ridurre il denominatore cioè il numero degli addetti.

In poche parole se il mercato è fiacco è facile che, licenziando, la produttività aumenti, potrebbe pensare qualcuno.....

Ma è, quest’ultima, una ricetta sbagliata, regressiva che non concorre a determinare i presupposti per la crescita e mina la coesione sociale.

La produttività ha invece bisogno di una rinnovata collaborazione tra le parti sociali e di un nuovo spirito di corresponsabilità affinchè il valore aggiunto per occupato cresca attraverso una rigenerazione dell’apparato produttivo e una qualificazione della forza lavoro.

Ha ragione Giovanetti quando al riguardo individua il rischio di una mera difesa dell’esistente, una cristallizzazione dei ruoli frutto di un approccio ancora troppo ideologico e disancorato dalla ricerca di soluzioni concrete.

La politica sta cercando di fare la sua parte per favorire la stipula di intese virtuose tra imprese e lavoratori stimolando relazioni industriali che siano finalizzate agli obiettivi dell’efficienza del sistema produttivo e dell’occupazione che esso deve garantire.

Vi sono esempi concreti dello sforzo che sta mettendo in campo il governo provinciale, anche con soluzioni innovative, che trovano collocazione nella manovra di bilancio del 2013.

Mi riferisco innanzitutto all’introduzione nella riforma degli incentivi della “procedura negoziale” che prevede il coinvolgimento del sindacato nei progetti di investimento di maggiore entità e quindi investe sulla corresponsabilità dei lavoratori nelle strategie di sviluppo delle proprie imprese.

Soprattutto con il disegno di legge finanziaria la Giunta ha deciso di introdurre una aggiuntiva agevolazione Irap per gli incrementi della produttività che sarà declinata come deduzione degli emolumenti corrisposti ai lavoratori. Per tale operazione sono stati stanziati 24 milioni di euro per il biennio 2013-2014.

Misura quest’ultima che si aggiunge allo sgravio Irpef che incide direttamente sul reddito dei lavoratori medesimi.

Le azioni di stimolo della Provincia presuppongono ovviamente di trovare ora una risposta adeguata nella capacità e volontà delle parti sociali di trovare soluzioni concrete attraverso la contrattazione sviluppata sul livello territoriale ed aziendale laddove si conoscono i motivi reali per i quali la produttività può essere migliorata.

Quello che abbiamo davanti a noi è una sfida realmente riformista ed il Trentino ha l’opportunità di dare una buona prova di come l’Autonomia può essere (anzi dovrebbe essere) laboratorio di cambiamento.

Sono convinto che la responsabilità e la maturità dimostrata dalle parti sociali trentine in questi anni difficili saprà andare oltre la rigidità e lo schematismo che a livello nazionale rallenta una proficua concertazione.

Sì, certo mi riferisco anche al riformismo dimostrato dal Sindacato trentino.

Sono andato a rileggermi gli appunti che avevo tratto dalla relazione di insediamento di Paolo Burli alla Segreteria della CGIL del Trentino.

Egli condivideva ma anzi rivendicava la paternità di un obiettivo di politica-economica che metteva in primo piano proprio il rendimento di fattori produttivi, dimostrando un passo in avanti della coscienza sindacale ad assumendo consapevolmente un ruolo di orientamento e guida del corpo sociale.

Pretendere il rispetto dei diritti delle parti deboli non significa infatti rinunciare ad esortare tutti a lavorare per un sistema più competitivo.

I patti per lo sviluppo devono diventare il nuovo strumento di negoziazione nella loro ambivalenza evidente: impegno contro impegno!

Sia le imprese che i Sindacati infatti sono “agenti di sviluppo” ormai idiscutibilmente responsablizzati a tracciare una nuova rotta per un Trentino più forte economicamente ma anche equo e coeso socialmente.