Venerdì 26 ottobre ho consegnato nelle mani di Renato Ballardini la piccola scultura bronzea che rappresenta l’Aquila di San Venceslao: una cerimonia leggera e piacevole, ma allo stesso tempo ricca di significati e di contenuti che rappresentano formidabili spunti per l’azione civile e politica del Trentino, in questi difficili tempi di crisi.
Bruno Dorigatti, 30 ottobre 2012
Il testo del mio intervento, che ha preceduto la laudatio di Franco De Battaglia.
Autorità, gentili ospiti,
Vi porgo innanzitutto il mio più cordiale saluto e quello dell'intero Consiglio provinciale. Saluto in particolare, e ringrazio di cuore, l'onorevole Renato Ballardini per aver accettato di essere protagonista di questa cerimonia. A lui, infatti, consegniamo oggi l'Aquila di San Venceslao nella splendida riproduzione bronzea del Maestro Othmar Winkler, quale simbolo di una riconoscenza collettiva nei riguardi di quei protagonisti del nostro tempo che, con la loro opera, hanno contribuito a fare del Trentino un laboratorio della convivenza e dello sviluppo.
Abbiamo organizzato questa cerimonia in conclusione di un 2012 che non è stato affatto un anno come tutti gli altri.
Accade spesso, infatti, che le ricorrenze diventino delle litanie stanche e prive di significato, lontane dall'oggetto del ricordo e ormai svuotate del loro senso originario: così non è stato, in occasione di questo 40esimo anniversario del Secondo Statuto di Autonomia, perché nel corso dell'anno non sono certo mancate le opportunità per interrogarsi intorno alle ragioni e all'attualità dell'ordinamento autonomistico e della specialità trentina.
Abbiamo più volte detto che le autonomie speciali sono state messe sul banco degli imputati. Ma non è questo che voglio porre al centro della mia breve riflessione: preferisco domandarmi perché ci si trovi a fronteggiare questa fase critica in condizioni di debolezza, con le "armi spuntate", senza che vi sia una consapevolezza diffusa di quale sia la posta in gioco.
Una delle prime risposte che mi do riguarda il Trentino, i suoi cittadini e le sue Istituzioni, perché è bene che l'esame di coscienza si rivolga prima di tutto verso l'interno, senza esternalizzare colpe ed errori. Al cuore di questo tentativo di risposta pongo quindi la questione della memoria storica, della sua rielaborazione e della sua capacità di essere elemento vivo del nostro presente.
Per questo motivo occasioni come quelle di oggi non hanno solo un forte valore simbolico, ma si propongono come momenti di azione concreta per l'elaborazione delle future prospettive del Trentino: e non a caso abbiamo creduto opportuno farlo dando rilievo all'illustre figura dell'onorevole Renato Ballardini, che della storia di questa terra rappresenta uno dei narratori più lucidi e qualificati.
Non ripercorrerò qui puntualmente le tracce lasciate dall'onorevole Ballardini in oltre mezzo secolo di vicende sociali, politiche ed istituzionali della nostra Regione e dell'intero Paese: in modo ben più preciso di me lo farà il dottor Franco de Battaglia. Voglio solo ricordare che, in ogni snodo cruciale dal secondo dopoguerra ad oggi, Renato Ballardini non ha mai fatto mancare il suo apporto, coniugando spinta ideale e concreto pragmatismo, come nella migliore tradizione di quella classe politica formatasi negli anni tragici della Resistenza al nazifascismo.
E' proprio dalla Resistenza che prende le mosse il suo lungo cursus politico, in quella stagione di impegno di testa, di cuore e di braccia, dove la semplice scelta di mettersi in gioco in prima persona significava mettere a repentaglio la propria vita: è in quelle circostanze, davanti a quella scelta che supera ogni calcolo di convenienza, che un uomo come Renato Ballardini ha optato una volta per tutte per la pace, la libertà e la giustizia.
Non è solo la storia di Renato Ballardini ad affondare le radici nei valori della lotta di liberazione: sulla Resistenza e sulle elaborazioni politiche dei suoi più illustri esponenti, su quell'antifascismo intelligente e capace di unire culture plurali, si salderà un pensiero autonomista che fece del rispetto delle autonomie locali un fondamento dell'ideale democratico. Non è un caso che, poco più di un anno fa, il premio che oggi consegniamo all'onorevole Ballardini fu simbolicamente dato in mano alle figlie di Giannantonio Manci, che per quegli ideali di libertà sacrificò la vita, e il cui pensiero federalista ha rappresentato uno dei doni più preziosi per la ricostruzione democratica del Trentino.
Questi valori non sono mai venuti meno, in Renato Ballardini, anche quando la sua voce, esprimendoli, rischiava di rimanere isolata e fuori dal coro. Voglio qui ricordare, all'interno della sua lunga carriera di rappresentante politico, gli anni decisivi che trascorse in Parlamento, eletto nelle file socialiste ma- senza partigianeria preconcetta- capace di mettersi sempre a disposizione dell'intera cittadinanza trentina e sudtirolese.
Sono anni difficili, quelli che segnano la sua esperienza da deputato, anni in cui le contraddizioni sociali e i problemi politici irrisolti rischiarono di far divampare il fuoco dello scontro etnico. Solo la saggezza politica e un metodo di azione fondato sul confronto riuscirono a disinnescare un conflitto che sembrava destinato ad assumere proporzioni oggi impensabili: di questa saggezza Ballardini fu uno dei più autorevoli interpreti, fin dall'inizio dei lavori della "Commissione dei Diciannove", istituita nel 1961 quando i fuochi della famosa notte di giugno erano ancora caldi. La nascita della Commissione fu un modo esemplare per dimostrare che era il confronto politico, e non l'esercito o la repressione indiscriminata, l'unica strada possibile per arrivare a delle soluzioni condivise che placassero da un lato le violenze e, dall'altro, garantissero una concreta attuazione dei principi sanciti dall'Accordo De Gasperi- Gruber.
Dai lavori della Commissione si arrivò alla definizione del "Pacchetto delle misure a favore delle popolazioni altoatesine", premessa per la successiva approvazione del Secondo Statuto di Autonomia. Un percorso legislativo lungo e tortuoso, al quale Renato Ballardini ha garantito il proprio contributo intelligente e colto: un percorso che, grazie all'impegno di chi scelse la strada del dialogo e chiuse le porte allo scontro, ha garantito a questa terra di montagna un futuro di pace e di benessere. Oggi ringraziamo Renato Ballardini, ma simbolicamente vogliamo ringraziare Luigi Dalvit, Leo Detassis, Guido de Unterrichter, Flaminio Piccoli, membri trentini di quella Commissione di Studio, così come Alcide Berloffa, Roland Riz e tutti i componenti sudtirolesi che si misero a disposizione dell'interesse generale e della democrazia. Oggi, a tanti anni di distanza, quella scelta coraggiosa e per nulla scontata va ricordata come una delle più importanti pagine della storia regionale.
L'onorevole Ballardini fu un precursore, in questo senso: già nel 1960, dai banchi della Camera, condannò un'interpretazione limitante e sbagliata dello Statuto di Autonomia, che "soffocava l'empito di autogoverno che esso doveva favorire", che "mortificava le istanze a cui esso doveva corrispondere". La Regione, sosteneva Ballardini, doveva interpretare la nuova Italia uscita dalla Resistenza, per portare anche nelle nostre realtà "il vento della democrazia e del progresso". E allo scoppio della violenza, egli capì che non si poteva rispondere con la violenza. Come quando, dopo la strage di Cima Vallona, l'onorevole Ballardini chiese a tutti di non cadere nell'errore di inseguire "accuse reciproche e passioni, che creerebbero solo nuovi torti". Egli, con intelligenza e pacatezza, continuò a perseguire la via del dialogo pragmatico, per giungere agli obiettivi auspicati.
Oggi dobbiamo riconoscere, tutti, che Renato Ballardini e i fautori del confronto democratico avevano ragione, e che chi al contrario fomentava ostilità e diffidenze aveva torto. Ma non possiamo nemmeno limitarci a questo: dobbiamo fare tesoro di quella lezione, dobbiamo usare le esperienze del passato per immaginare le alternative del futuro. E quindi capire che, se vogliamo che questo territorio abbia un posto centrale nel futuro d'Europa, non ci può essere spazio per miti etnici, identità immutabili, nostalgie di un passato ridotto a folklore. L'identità di queste terre non è scritta con l'inchiostro nei libri di storia, ma la scrivono ogni giorno - e continueranno a scriverla- le donne e gli uomini che lavorano per fare di questo piccolo territorio alpino un luogo ospitale, aperto e solidale, capace di "nuotare nel mare aperto della nuova Europa e di una nuova repubblica delle autonomie", come scriveva il compianto e mai dimenticato Walter Micheli.
"Fluidità", è la parola che Ballardini utilizzava per immaginare l'auspicabile sviluppo della questione sudtirolese. Fluidità che è il contrario di rigidità, di immobilismo, di conservazione. Fluida è la storia del Trentino, che non si presta a letture semplicistiche e a senso unico: una storia fluida nella quale Renato Ballardini ha voluto lasciare il suo segno tangibile e forte, che a noi - e a chi verrà dopo di noi- continua a regalare una indomabile speranza di libertà, giustizia e pace.